A. Fasolo - La morte come sorella

   2 novembre
 




La Morte 
come Sorella







Tutti sanno come morì S. Francesco: contento, anzi pieno di gioia. Talmente felice che Frate Elia ne rimase scandalizzato e temette che insieme a lui avrebbero potuto esserlo anche i suoi fratelli. “Potrebbero osservare – obiettò - Come può essere tanto felice dal momento che sta morendo. Dovrebbe piuttosto pensare alla morte!”.
Un’obiezione piuttosto ragionevole diremmo noi che non solo non siamo felici, quando stiamo male, non ce ne rallegriamo, e se non precipitiamo subito in una profonda depressione certo non siamo disposti a fare i salti di gioia. Ebbene la risposta di Francesco c’è nota.
Rammentando a frate Elia una visione avuta a Foligno e nella quale gli era stato rivelato che non sarebbe vissuto più di due anni, gli assicurò d’aver sempre meditato sulla sua fine ed ancor più adesso. Infine pronunciò una frase solo apparentemente misteriosa: “Fratello, lasciami godere nel Signore e cantare le sue lodi in mezzo alle mie sofferenze, poiché, per dono dello Spirito Santo, io sono così unito al mio Signore che, per sua misericordia, ho ben motivo di allietarmi nell’Altissimo” (FF. 1821).

Non dimenticando questa frase, vediamo dunque che Francesco afferma d’aver sempre meditato sulla sua morte. Badate bene, appunto, non genericamente la morte, ma la “sua“di morte. Questa precisazione non è irrilevante. Oggigiorno si verifica esattamente il contrario. Nonostante la nostra vita sia fragile ed appesa ad un filo dal momento stesso in cui veniamo concepiti, la società invece si cura di far sì che tutti siano sufficientemente distratti da altri pensieri, come il lavoro, l’affermazione personale, il denaro, il potere, il sesso e gli altri piaceri della vita. Quando inevitabilmente si assiste alla morte degli altri si cerca di relegarla in ambienti “ protetti “ come gli ospedali o di trasformarla in spettacolo, banalizzandola come ad esempio succede nella maggior parte della produzione cinematografica dove i cadaveri, i massacri e le stragi si contano a migliaia. Non va certo meglio in cronaca (vedasi i nostri telegiornali) dove tutto viene appiattito a mo’ di fiction e si salta allegramente da una strage di camorra alle vicissitudini amorose della star di turno.

Una sorte penosa è disposta per ogni uomo, un giogo pesante grava sui figli di Adamo, dal giorno della loro nascita dal grembo materno fino il giorno del loro ritorno alla madre comune: "Materia alle loro riflessioni e ansietà per il loro cuore, offrono il pensiero di ciò che li attende e il giorno della fine" (Sir 40,1-11).

SCHIAVI PER PAURA

In realtà, il pensiero della nostra morte, sebbene rimosso accuratamente, fa sempre capolino nel nostro cuore. Non c’è uomo che non deve confrontarsi prima o dopo con lei e che non la percepisca come una condanna, precisamente non solo ciò che ci strapperà inevitabilmente agli affetti ed alle cose materiali ma soprattutto ciò che mina l’integrità del nostro “io“ciò che impedisce di godere appieno della nostra libertà, perché se tutto è soggetto alla morte, perché se questo è il limite, perché se nessuno può valicare questo confine, nessuno è libero, tutti siamo schiavi e come tutti gli schiavi, vigliacchi e paurosi, d’una paura che viene da lontano ... “Ma il Signore Dio chiamò l`uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» ... All`uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare ... con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!» (Gen, 3,9.17-19).

“Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, 
così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Rm 5,12).

La nostra miseria ha dunque origini antiche. Da uomini di fede sappiamo, conosciamo, professiamo e fermamente crediamo che da tutto questo il Signore Gesù Cristo ci ha per sua misericordia liberato subendo volontariamente il supplizio della croce: “Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all`impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.” ( Eb. 2,14 ). Tuttavia questa profonda fiducia, sia pur ben radicata, non è da sola sufficiente a metterci al riparo dalla paura della morte. I cristiani che sono andati incontro ad essa cantando sono tanti sì, ma pur sempre una sparuta minoranza rispetto a coloro che più realisticamente temono e tremano al pensiero dell’incontro con una realtà che resta “a tutti temibile e odiosa “ (FF. 809).

“Poiché tutti i mortali sono come l`erba e ogni loro splendore è come fiore d`erba. L`erba inaridisce, i fiori cadono...” (1Pt 1,24).
“Esala lo spirito e ritorna alla terra; in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni (Sal. 146.4).


“Da chi indossa porpora e corona fino a chi è ricoperto di panno grossolano, non c`è che sdegno, invidia, spavento, agitazione, paura della morte, contese e liti” (Sir 40,4).

“Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo, né alcuno ha potere sul giorno della sua morte” (Qo 8,8).

LA POSTA IN GIOCO

Ahimè, dice S. Paolo, chi mi libererà da questo corpo di morte? Davvero tutti conosciamo la risposta? La sequela di Cristo povero e crocifisso? Vediamo come S. Francesco giunse a sperimentare nella sua vita quanto fosse reale ed a portata di mano, questa soluzione. Sperimentare è cosa indispensabile. Perché un conto è crederlo con la mente, un conto è provarlo nella propria carne. Se proviamo a meditare con sguardo lucido sul nostro destino, veniamo messi a confronto con l’invito evangelico:”Convertitevi e vivrete “ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,3 ).
Francesco , a quanto è dato sapere, si confrontò presto col problema dell’altrui e della propria morte. Da giovane combattente e poi da aspirante cavaliere fu coinvolto in battaglie molto cruente e, colpito da una misteriosa infermità dopo la liberazione dal carcere di Perugia, rischiò seriamente di finire anzitempo i suoi giorni. Contrariamente all’attuale pensiero dominante, l’uomo medievale aveva ben presente il problema della propria e altrui morte, nonché grazie alla predicazione cristiana, delle realtà escatologiche e dei novissimi. Così se per tutti la morte è il termine normale della vita, allora, davvero più di oggi, si era coscienti che la vera posta in gioco per un cristiano è la vita eterna o l’eterna dannazione. Per non ripetere l’errore di Adamo, occorre infatti conformarsi a Gesù Cristo. Ritorniamo dunque alla misteriosa risposta data da Francesco a frate Elia, prima di morire: “io sono così unito al mio Signore che, per sua misericordia, ho ben motivo di allietarmi nell’ Altissimo” (FF. 1821).

“Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere in possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dei e a servirli, io vi dichiaro oggi che certo perirete” (Dt 30,15).

FARE PENITENZA

Per Francesco il dramma della morte non consiste dunque nella separazione da questo mondo, ma nel rischio di essere separato da Dio. Ma per i vili e gl`increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E’ questa la seconda morte» (Ap. 21,8).
Quando capì qual era la posta in gioco Francesco cominciò a fare penitenza. Iniziò un cammino di conversione che lo condusse a morire al mondo, un pezzetto alla volta, ma tenacemente, tutti i giorni della sua esistenza terrena. Come poteva alla fine aver paura di morire chi non aveva avuto paura di rinunciare ai beni paterni, alla sicurezza d’un lavoro , d’una relazione familiare stabile fondata sull’affetto d’un padre, d’una madre , d’una sposa? Chi aveva rinunciato ad una casa, ai vestiti, alla cura della propria salute avendo sempre la mente ed il cuore rivolti a Dio?
In realtà quando muore, Francesco non ha più nulla da perdere, nulla che lo trattenga su questa terra. Gli resta solo l’amore di Dio che lo ha conformato a Cristo. La sua gioia mentre va incontro alla morte non è incosciente ma pienamente giustificata anzi scontata ...

“In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, 
ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”. (Gv 5,24),

L’ARTE DI MORIRE

Per l’uomo distratto dai colori e dai suoni assordanti della civiltà dei consumi, il morire non è più un ‘arte
da apprendersi per tempo. La vita non è il tempo delle scelte definitive, ma della distrazione, del non pensarci, il luogo del piacere sfrenato, del tutto e subito, del paradiso in terra, dell’assenza di etica e di regole e della ricerca d’ogni soddisfazione. Occorre pertanto cominciare a riapprendere l’arte del ben morire, pratica una volta molto frequente e purtroppo ora desueta.
Lo insegnavano già i Padri della Chiesa come Sant’Ambrogio: “Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. Sarà per l’anima un’utile allenamento alla liberazione dalle cupidigie sensuali...Così accettando di esprimere già ora nella nostra vita il simbolo della morte, non subiremo poi la morte come castigo” (dal libro “ Sulla morte del fratello Satiro “).

“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte” (Ap 2,11).

E’ così importante per San Francesco che si capisca con chiarezza ciò che egli per primo ha avuto modo di apprendere nella sua vita al servizio di Dio, che prima di morire ci consegna ancora questa raccomandazione nella Lettera ai Fedeli (recensio prior) - che è anche il prologo della attuale regola dell’Ordine Francescano Secolare:

“Aprite gli occhi, o ciechi, ingannati dai vostri nemici: dalla carne, dal mondo e dal diavolo; poiché è cosa dolce per il corpo commettere il peccato e gli è cosa amara farlo servire a Dio; poiché tutti i vizi ed i peccati escono dal cuore degli uomini e da lì procedono, come dice il Signore nel Vangelo” (cf Mc 7, 21) .... E così non avete niente di buono in questo mondo e non ne avrete per il futuro. E pensate di possedere a lungo le cose vane di quaggiù, ma vi fate imbrogliare, poiché verrà un giorno ed un' ora, che non pensate, che non conoscete e che ignorate; s'ammala il corpo, s'avvicina la morte e così l'uomo muore di una morte amara. E dovunque, in qualsiasi tempo e modo l'uomo muoia in peccato mortale senza penitenza e soddisfazione, se può soddisfare e non soddisfa, allora il diavolo rapisce la sua anima dal suo corpo con tanta angustia e tribolazione, che nessuno può immaginare, tranne colui che ciò subisce … I vermi (intanto) divorano il corpo, e così hanno mandato alla malora il corpo e l'anima nel breve periodo di tempo di questo mondo, e se ne andranno all'inferno, ove saranno tormentati all'infinito. Per la carità che è Dio (cf 1 Gv 4,16), preghiamo tutti coloro, ai quali giungerà questa lettera, di ricevere benignamente per amore di Dio queste olezzanti parole del nostro Signore Gesù Cristo, come sopra riferite. E quanti non sanno leggere, se le facciano leggere spesso; e le conservino presso di sé mettendole santamente in pratica sino alla fine, perché sono spirito e vita (Gv 6,64). E coloro che non faranno ciò, saranno tenuti a rendere conto nel giorno del giudizio (cf Mt 12,36) davanti al tribunale del nostro Signore Gesù Cristo (cf Rm 14,10).
Francesco d'Assisi       

Possono sembrare parole dure. Sono solo considerazioni realistiche di un santo che prima di diventar tale è stato uomo, ha vissuto le contraddizioni della vita , ma poi dolcemente si è arreso lasciandosi condurre per mano da Cristo lungo la strada della misericordia divina. Il suo esempio ci lascia impressionati e stupiti, le sue parole ci pungolano, ci stimolano alla conversione , ma alla fine nel nostro intimo sappiamo che tutto o quasi dipende da noi, dalla nostra capacità di rispondere a queste sollecitazioni. Ogni generazione non ha con sé nulla di acquisito ma deve nuovamente decidere e ricominciare da capo a vivere sulla propria pelle questa bellissima ma irrinunciabile sfida evangelica. San Francesco ci assicura che ne vale la pena. Vogliamo credergli?



Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale, 
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate e benedicete mi' Signore et rengratiate 
e serviateli cum grande humilitate.


Antonio Fasolo, Ofs
in Squilla Francescana, ottobre 2008