La parsimonia diventa arte: Presepe inciso e dipinto su una stagnola delle confezioni di di yogurth dalle Piccole Sorelle di Charles de Foucauld delle Tre Fontane (Roma).
IL PRESEPE, BETLEMME IN CASA
Enzo Bianchi.
Priore della Comunità di Bose
La trasmissione della fede abbisogna che i cristiani siano innanzitutto testimoni di Cristo, credibili e affidabili iniziatori dei figli al mistero cristiano, capaci di appellarsi al Vangelo per consegnare una conoscenza autentica di Gesù Cristo, colui che ci ha raccontato il Dio dei padri, sempre rimasto invisibile. Tuttavia questa che è la grande tradizione, la trasmissione essenziale della fede cristiana si accompagna ad elementi minori che non dovrebbero essere sottovalutati. In particolar modo i 'simboli', i 'racconti' sono eloquenti e hanno una capacità performativa che tocca in profondità e plasma la fede. Del resto, da sempre l’annuncio cristiano non è veicolato solo dalla parola, ma anche e soprattutto dalla liturgia, che è linguaggio simbolico per eccellenza. Penso al presepe, questa possibilità di avere “Betlemme in casa” (..): vedere rappresentato ciò che si vive nella liturgia in chiesa, assieme a tutta la comunità cristiana, toccare con mano ciò che si medita pregando personalmente in quei giorni, dare una forma plastica a ciò che è causa di una gioia condivisa e rende il Natale non un semplice momento di evasione, ma un’autentica opportunità di festa.
Se l’oriente cristiano ha affidato all’icona – questa scrittura immaginifica del Vangelo collocata negli angoli delle case o esposta in chiesa – la narrazione teologica del Natale, il genio dell’occidente ha inventato il presepe.
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Nell’occidente cristiano medioevale si volevano celebrare, rivivere i misteri della vita di Cristo mediante rappresentazioni sceniche attorno alle cattedrali e alle chiese affinché il popolo che non sapeva leggere e non poteva quindi avere assiduità con la sacra Scrittura potesse imprimere nella mente e nel cuore il mistero celebrato liturgicamente, soprattutto quello del Natale di Gesù e quello della sua passione e morte.
La tradizione cristiana già a partire dal II e III secolo, con Giustino e poi Origene, testimonia che a Betlemme, il luogo dove secondo i Vangeli Maria partorì Gesù, c’era la grotta della natività su cui l’imperatore Costantino fece erigere una basilica. Successivamente Girolamo, che lasciò Roma per vivere nel deserto della Giudea, stabilitosi a Betlemme descrisse con particolari la «grotta naturale in cui è nato il Creatore dei cieli: qui è stato avvolto in fasce, qui fu trovato dai pastori, qui fu indicato dalla stella, qui i magi lo hanno adorato».
Una descrizione che è già l’anticipazione del 'presepe', termine che significa recinto chiuso, mangiatoia. Questa scena sarà raffigurata nei mosaici, poi dai pittori, e darà luogo a questa originale rappresentazione dell’incarnazione.
E così nel XIII secolo Francesco d’Assisi – che all’epoca della V crociata aveva tentato senza riuscirci di andare in Terrasanta per venerare il mistero dell’incarnazione a Betlemme – con un’intenzione che voleva anche essere una critica all’idea delle crociate – invitava i cristiani non a passare il mare con le armi in nome della fede, ma a vivere Betlemme nel cuore, a «far nascere Gesù nel cuore!».
Tommaso da Celano scrive: «Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio diventa la nuova Betlemme». Ha il grande storico scritto Raul Manselli: «Il presepe di Greccio non si risolve in un gesto, in una 'pensata' popolaresca e chiusa nel mondo popolare: è invece l’estrinsecazione umile, anche la più impressionante forse, dell’umanizzazione di Gesù Cristo, l’uomo-Dio».
«NASCESSE PURE MILLE VOLTE GESÙ A BETLEMME,
NON SERVE A NULLA SE NON NASCE IN TE.»,
(SILESIO)