VOCAZIONE FRANCESCANA
testo di Lazaro Iriarte
1.“Itinerario penitenziale
di san Francesco”
di san Francesco”
Scopre l’uomo fratello
All’inizio del suo Testamento il Santo descrive con queste parole la sua conversione e la scoperta della sua personale vocazione:
«Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza; poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi. E il Signore stesso mi condusse tra loro, e io usai con essi misericordia. Ma allontanandomi da essi [dai peccati], ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo. Indi attesi un poco e uscii dal mondo».
È l’esperienza personale della traiettoria della grazia nel momento forte della vittoria di essa. Tale esperienza solitamente illumina e governa tutta la vita del convertito. In san Paolo, quel Io sono Gesù che tu perseguiti (At 9,5) divenne uno squarcio di luce che avrebbe vivificato tutta la sua visione teologica del mistero del Cristo Signore, presente nei fedeli sue membra, e gli avrebbe stimolato lo zelo per il vangelo senza un attimo di tregua.
Per Francesco, il fatto di essere giunto all’incontro col Cristo attraverso il povero, specie attraverso il lebbroso, in cui la povertà si unisce al dolore e all’umiliazione, si proietterà nella sua concezione totale dell’incarnazione e della sequela del Cristo fratello.
Per temperamento e sensibilità cristiana, il giovane Francesco era già incline alla pietà verso i poveri.
Un giorno, mentre era tutto affaccendato presso il banco di vendita nel fondaco del padre, gli capitò di respingere malamente un povero che gli chiedeva l’elemosina. Accortosene, rimproverò se stesso di tanta villania compiuta non tanto verso il mendicante, quanto verso il Signore, nel cui nome gli era stato chiesto soccorso. Da quel giorno stabilì in cuor suo di non negare mai cosa alcuna a chi la chiedesse in nome di Dio (1Cel 17 : FF 349). Dio, punto di riferimento dell’amor cortese e puro - del figlio del mercante, assumerà, a poco a poco, le fattezze di un volto familiare, quello del Cristo.
Un giorno, mentre era tutto affaccendato presso il banco di vendita nel fondaco del padre, gli capitò di respingere malamente un povero che gli chiedeva l’elemosina. Accortosene, rimproverò se stesso di tanta villania compiuta non tanto verso il mendicante, quanto verso il Signore, nel cui nome gli era stato chiesto soccorso. Da quel giorno stabilì in cuor suo di non negare mai cosa alcuna a chi la chiedesse in nome di Dio (1Cel 17 : FF 349). Dio, punto di riferimento dell’amor cortese e puro - del figlio del mercante, assumerà, a poco a poco, le fattezze di un volto familiare, quello del Cristo.
IL SOGNO D'ASSISI
Francesco, assetato di gloria, s’incammina verso le Puglie, tra i cavalieri di Gualtiero di Brienne. Vede uno di questi poveramente equipaggiato e gli regala “per amore di Cristo” i suoi abiti nuovi fiammanti. La notte seguente sogna un palazzo pieno di finimenti militari.
Un altro sogno, più tardi, completa la visione: la voce del Signore lo dissuade dal continuare il viaggio (1 Cel 5; 2 Cel 5-6 : FF 326, 586-587).
Ritornato in Assisi, cominciò a provare un profondo disgusto per i vaneggiamenti giovanili, mentre sentiva crescere nel cuore l’interesse per i poveri, un piacere nuovo di condividere con loro il pane. Non si accontentava più di soccorrerli: «provava piacere a vederli e a sentirli».
Ritornato in Assisi, cominciò a provare un profondo disgusto per i vaneggiamenti giovanili, mentre sentiva crescere nel cuore l’interesse per i poveri, un piacere nuovo di condividere con loro il pane. Non si accontentava più di soccorrerli: «provava piacere a vederli e a sentirli».
Il gesto borghese di venire incontro alle necessità del fratello gettando un pugno di monete gli sembrava assurdo. L’amore del prossimo, secondo il vangelo, rifiuta le discriminazioni che esistono, nella società umana, tra il ricco e il povero, tra il nobile e il plebeo. Francesco anelava a sperimentare personalmente cosa volesse dire essere poveri, essere coperti di stracci e obbligati a stendere la mano per implorare la carità pubblica (3Comp. 10 : FF 1405s.).
PELLEGRINAGGIO A ROMA
L’occasione desiderata gli venne durante un pellegrinaggio a Roma. Presso la porta della basilica di San Pietro cambiò i suoi vestiti con i cenci di un accattone, uno dei molti che si appostavano lì dintorno. In mezzo a loro domandava l’elemosina in lingua francese(2Cel 8; 3Comp, 10 : FF 589, 1406).
Il francese, o più esattamente il provenzale, il linguaggio dei “trovatori”, era quello che Francesco usava nei momenti di esaltazione spirituale quando affiorava la sua anima giullaresca.
Francesco aveva ormai l’esperienza della povertà reale, quella del povero, che è, nello stesso tempo, umiliazione, inferiorità, mancanza di promozione, emarginazione e, a volte, degenerazione fisica e morale.
INCONTRO CON IL LEBBROSO
Ma l’esperienza decisiva che lo rovesciò del tutto, passi l’espressione, sotto l’incalzare della grazia, fu quella dei lebbrosi. La natura di Francesco, tutta delicatezza e raffinatezza, si rivoltava di fronte allo spettacolo delle carni putrefatte di un lebbroso (1Cel 17; 2Cel, 3; 3Comp, 11: FF 348, 582, 140s). Era il momento di dare a Cristo la prova decisiva della disponibilità per «conoscere la sua volontà».
Dapprima fu la vittoria con il lebbroso che, nella piana di Assisi, gli aveva attraversato la strada: smontò da cavallo, pose l’elemosina in mano all’infelice e lo baciò. Il lebbroso, a sua volta, strinse alle labbra la mano benefica (1Cel, 17: FF 348). Pochi giorni dopo Francesco stesso volle ripetere questa esperienza: si recò al lazzaretto e rifece quell’atto eroico con ciascun lebbroso.
Il racconto dei Tre Compagni, che sembra aver raccolto meglio degli altri i ricordi personali di Francesco, dopo un riferimento espresso all’ostacolo che fino allora gli aveva impedito di avvicinare i lebbrosi — i suoi peccati —‘ aggiunge un’osservazione preziosa riguardo al processo di conversione: «Queste visite ai lebbrosi accrescevano la sua bontà» (3Comp, 12: FF 1409).
COMINCIÒ A VINCERE SE STESSO,
A SENTIRE DOLCE
CIÒ CHE PRIMA GLI PAREVA AMARO
Mentre un giorno stava pregando fervidamente il Signore, gli fu risposto: «Francesco, se vuoi conoscere volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che amavi mondamente e desideravi possedere.
Quando avrai cominciato a fare così, ti parrà insopportabile e amaro quanto per l’innanzi attraente e dolce; e dalle cose che una volta aborrivi, trarrai grande dolcezza e immensa soavità». Felice di queste parole e divenuto forte nel Signore, Francesco, mentre un giorno cavalcava nei paraggi di Assisi, incontrò un lebbroso. E poiché di solito aveva grande orrore dei lebbrosi, fece violenza a se stesso, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano. E un bacio di pace, risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò progressivamente a non con conto di se stesso, fino a giungere alla perfetta vittoria di sé,con la grazia di Dio.
Trascorsi pochi giorni, prese con sé molto denaro e si recò all’ospizio dei lebbrosi; li riunì tutti insieme e distribuì a l’elemosina, baciando loro la mano. Nel ritorno, ciò gli riusciva amaro, vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza. Confidava lui stesso che guardare i lebbrosi gli era talmente increscioso, che non solo si rifiutava di vederli, ma anche di avvicinarsi alle loro abitazioni. E se a volte gli capitava di passare accanto alle loro o di vederne qualcuno, sebbene la compassione lo a far loro l’elemosina per mezzo di qualche altra lui però voltava sempre la faccia dall’altra parte e si turava le narici con le proprie mani. Ma per grazia di Dio diventò compagno e amico dei lebbrosi così che, come afferma nel suo Testamento, stava in mezzo a loro e li serviva umilmente. Queste visite ai lebbrosi accrebbero la sua bontà.
(Leggenda dei tre compagni, 12 : FF 1409)