Nella Roma papale dell'Ottocento
l'inizio del periodo quaresimale era contrassegnato, come oggi,
dall'imposizione delle ceneri; del resto, le prime testimonianze di tale
cerimonia risalgono al secolo decimo, e sono quindi molto remote.
In origine, il rito si inseriva nel
quadro della penitenza pubblica, e riguardava soltanto i cristiani che
erano in attesa della
riconciliazione; successivamente, era stato esteso a tutti i fedeli.
In un sonetto del 24 novembre 1831,
Giuseppe Gioachino Belli ricorda alcune tra le prescrizioni quaresimali
che venivano stabilite annualmente con indulto apostolico; ad esempio, poteva
essere usato lo strutto, ma solo per il pranzo, mentre la sera era di rigore
l'olio. Inoltre, fino alla Pasqua, non poteva essere consumata la carne di
maiale.
Si cercava di mitigare le restrizioni in materia
alimentare con abbondante consumo dei tradizionali maritozzi, composti di
farina, olio e zucchero, e talora
arricchiti con
canditi, anice, od uva passa; tali
dolci, a differenza di oggi, erano generalmente di forma romboidale.
Nel giovedì che divideva in due
il periodo quaresimale si usava attaccare carte, confezionate in forma di
scala, sulla schiena dei passanti; si gridava poi "acqua" e si
innaffiavano i malcapitati. Il Belli, in un sonetto del 4 aprile 1833, ricorda
tale tradizione, che già allora andava scomparendo.
Nella settimana santa, a
partire dal martedì, i romei poveri ricevevano una speciale assistenza
nell'ospizio della Trinità dei Pellegrini; un'ora dopo l'avemaria c'era per
loro la lavanda dei piedi, che era seguita dalla cena. A tali incombenze,
inclusa quella di servire a tavola, provvedevano le signore di Roma, e non
mancava la presenza dei curiosi.
Una grande affluenza di visitatori
e di turisti si registrava per la lavanda dei piedi compiuta dal Papa il
giovedì santo; la cerimonia si svolgeva dapprima in San Giovanni in Laterano,
ma, per il grande concorso di pubblico, dal 1834 si
preferì San Pietro. Il Pontefice assisteva nella Sistina alla messa e
portava il Santissimo nel "sepolcro"; poi, verso mezzogiorno,
procedeva alla lavanda in una cappella della basilica.
I poveri, o i pellegrini, talora
appartenenti allo stato sacerdotale, ai quali il Papa aveva lavato i piedi,
consumavano poi il pranzo, servito personalmente dal Pontefice. Dopo la lavanda
eseguita in San Pietro, la refezione veniva spesso consumata nell'Aula della
Benedizione; la tavola era adorna di statuine raffiguranti gli apostoli, ognuno
dei quali, incluso Giuda, era impersonato da un convitato. Il numero dei
commensali, però, non era di dodici, ma di tredici. Infatti, secondo la leggenda,
il Papa Gregorio Magno, nel compiere la funzione, aveva trovato una persona in
più; si trattava di un angelo viaggiatore, che aveva pranzato con gli altri ed
aveva poi preso commiato.
Il pranzo era composto soprattutto
di pesce e verdure, e non mancava il vino, bianco e rosso.
Nelle sere del mercoledì,
giovedì e venerdì santo, era attesissima l'esecuzione del Miserere di
Gregorio Allegri. I cantori della Cappella Sistina avevano arricchito, in oltre
due secoli, la partitura, con infiorettature ed effetti virtuosistici; era
particolarmente suggestiva l'atmosfera della cerimonia, con il Papa e i
Cardinali prostrati, ed i ceri che si spegnevano ad uno ad uno.
Nei giorni che precedevano la
Pasqua non c'era però solo il raccoglimento.
Secondo il racconto evangelico, al
momento della morte di Gesù tremò la terra e le rocce si spaccarono; per ricordare tali avvenimenti,
il giovedì e il venerdì santo molti ragazzi di Roma percuotevano con mazzuole
di legno le porte di case e di botteghe. Altri fragorosi rumori, anche di
fuochi artificiali e di spari, salutavano, la
mattina del sabato santo, lo
"scioglimento" delle campane, che erano rimaste in silenzio per due
giorni.
Nelle sere del giovedì e venerdì
santo, in vista della prossima fine del digiuno quaresimale e del divieto di
consumare carne suina, le pizzicherie venivano addobbate con ricchezza e
fantasia, sia per il quantitativo dei prodotti che per l'aspetto estetico. Non
mancavano figure sacre e profane, modellate con lo strutto o con il burro.
Il venerdì santo era tradizionale
la visita ai crocifissi e si riteneva che fosse necessario vederne sette per
ottenere l'indulgenza plenaria; un grande Cristo in croce era venerato in una
cappella al Colosseo, alla quale era addetto un eremita.
Il sabato santo, i parroci
ed altri preti procedevano, in tonaca e cotta, alla benedizione delle case e
delle cibarie. Ogni sacerdote era accompagnato da un chierico, che portava in
una mano un secchiello con l'acqua santa, nel quale veniva immerso
l'aspersorio, e nell'altra un canestro. Le offerte potevano essere anche in
generi alimentari; anzi, tra di esse era generalmente compresa una parte delle
uova e del salame, immancabili in quel periodo nelle case dell'urbe.
È interessante notare che la
Pasqua di Risurrezione veniva conosciuta anche con un nome che richiamava
l'alimentazione: era denominata
"Pasqua delle uova", per distinguerla dall'Epifania (Pasqua befania)
e dalla Pentecoste (Pasqua rosa).
Il pranzo pasquale era
particolarmente ricco, ed il Belli, in un sonetto del 19 aprile 1835, accenna
ad alcuni cibi che non mancavano: il
brodetto, il fritto, le uova con il salame e la zuppa inglese, un dolce che forse
non ci saremmo aspettati nell'Ottocento romano. Nella stessa composizione, il
poeta ricorda che la tavola era decorata con fiori e piante tradizionali: cita, al riguardo, la menta romana, il
rosmarino, la salvia, l'erba santamaria, le viole.
Il banchetto riguardava però la
sfera privata; per la dimensione pubblica, aveva grande importanza, nel giorno
di Pasqua, la solenne benedizione impartita dal Papa dalla loggia della
basilica vaticana. Lo spettacolo della folla radunata nel foro petriano era
quanto mai pittoresco, e, fra l'altro, si potevano ammirare molti costumi
tradizionali del Lazio; le botticelle e le carrozze padronali si assiepavano
nella piazza Rusticucci.
La sera, era particolarmente
suggestiva l'illuminazione della cupola di San Pietro.
Nel giorno di Pasquetta, la
principale attrazione era costituita dalla "girandola", che fino al
1850 venne fatta a Castel Sant'Angelo, ed in seguito al Gianicolo o al Pincio;
secondo una tradizione, che ad ogni modo ne testimonia l'importanza, lo stesso
Michelangelo ne era stato l'inventore. Con i fuochi d'artificio venivano
realizzati grandi e fantastici disegni; fu particolarmente solenne la
"girandola" del 31 marzo 1834, alla quale furono presenti il re
Ferdinando ii delle Due Sicilie e la sua consorte, la regina Maria Cristina di
Savoia.
Un'usanza immediatamente successiva
alla Pasqua era quella della "Comunione in fiocchi", per cui
l'Eucaristia veniva portata agli infermi in maniera particolarmente solenne, e
con l'impiego del baldacchino. Generalmente si procedeva a tale funzione nel
martedì successivo alla
festa; la "Comunione in
fiocchi" veniva portata ai malati anche per la Pentecoste.
Claudio Ceresa
“L’Osservatore Romano” 21/3/2009