I
domenica
II domenica
di
Quaresima
II domenica
di
Quaresima
(Mc
9, 2-10)
La
trasfigurazione rivela una volta ancora l’identità di Gesù, come il
battesimo:egli è il Figlio prediletto di Dio, inviato perché sia ascoltato.
E’ lui la Parola,
il Vangelo, l’inabitazione e la tenda di Dio, il segno della sua persona, nella
sua persona trasfigurata.
“Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”
on queste parole,
Dio Padre consegnava Gesù all’umanità come unico e definitivo Maestro,
superiore alla legge e ai profeti.
Oggi dove
possiamo ascoltare Gesù?
Egli ci parla
attraverso la nostra coscienza. Ma non è semplice ascoltare la sua voce. E’
facile farle dire solo ciò che piace a noi. Ha bisogno perciò di essere
illuminata e sorretta dal Vangelo. Sappiamo però per esperienza che anche le
parole del Vangelo possono essere interpretate in modi diversi.
Chi ci assicura
un’interpretazione autentica è la Chiesa,
istituita da Cristo proprio a tale scopo. Per questo è importante
cercare di conoscere la dottrina della Chiesa, come essa stessa la intende e la
propone e non nell’interpretazione, spesso distorta e riduttiva, dei
mass-media.
Altrettanto
importante è sapere dove Gesù non parla. Egli non parla attraverso i maghi, gli
indovini, i dicitori di oroscopi; non parla nelle sedute spiritiche,
nell’occultismo.
Nella Scrittura
leggiamo: ”Non si trovi in mezzo a te chi esercita la divinazione o il
sortilegio… né chi faccia incantesimi, né chi interroghi i morti, perché
chiunque fa queste cose è in abominio al Signore” (Deutoronomio 18, 10-12).
Questi erano i
modi tipici di rapportarsi al divino dei pagani, che traevano auspici
consultando gli astri o le viscere degli animali o il volo degli uccelli. Con
quella parola di Dio:”Ascoltatelo!”, tutto questo è finito. C’è un solo mediatore
tra Dio e gli uomini: Gesù Cristo.
Oggi purtroppo
questi riti pagani sono tornati di moda. E come sempre, quando diminuisce la
vera fede, aumenta la superstizione. Un esempio innocuo è l’ascolto degli
oroscopi.
Per le persone
mature, dotate di un minimo di capacità critica o d’ironia, esso non è che un
gioco, un passatempo. Ma nei ragazzi, negli adolescenti? Ecco che per loro la
responsabilità nella scelta tra bene e male non è nostra ma delle “stelle”,
come pensava Don Ferrante di manzoniana memoria.
III
domenica
di
Quaresima
(Gv.
2, 13-25)
Gesù non tollera
tutto quanto sta intorno al tempio e che sa non di adorazione, ma di commercio,
di venalità, di esteriorismo, che soffoca la dedizione del cuore.
Il suo gesto
prefigura la dissoluzione del tempio di pietra e l’edificazione di un altro
tempio, che è lui stesso, la sua Persona, il suo corpo che, se distrutto nella
passione e nella morte, il terzo giorno sarebbe risorto.
Il tema del
Vangelo di questa domenica è il tempio. Gesù scacciando dal vecchio tempio
mercanti e mercanzie, presenta se stesso come il nuovo tempio di Dio che gli
uomini distruggeranno, ma che Dio farà risorgere in tre giorni.
Nella prima
lettura di oggi si parla dei dieci comandamenti. L’uomo moderno spesso li
scambia per divieti arbitrari di Dio, per limiti posti alla sua libertà. Ma i
comandamenti di Dio sono una manifestazione del suo amore e della sua
sollecitudine paterna per l’uomo. “Io ti comando di osservare i comandamenti
perché tu viva e sia felice” (Deuteronomio 6,3; 30, 15 s).
Gesù ha riassunto
tutti i comandamenti, anzi tutta la Bibbia, in un unico comandamento, quello
dell’amore per Dio e per il prossimo. Aveva ragione sant’Agostino nel dire:
“Ama e fa ciò che vuoi”. Perché se uno ama davvero, tutto quello che farà sarà
a fin di bene. Anche se rimprovera e corregge, sarà per amore, per il bene
dell’altro.
I dieci
comandamenti vanno però osservati congiun-tamente; neanche uno solo di loro può
essere violato. E a questo scopo vorrei attirare l’attenzione in particolare su
uno dei comandamenti che in alcuni ambienti è spesso trasgredito: “Non nominare
il nome di Dio invano”.
“Invano”
significa senza rispetto o, peggio, con disprezzo, con ira, insomma
bestemmiarlo.
Alcuni usano la
bestemmia come intercalare ai propri discorsi, senza tenere in nessun conto i
sentimenti di coloro che ascoltano. Molti giovani, poi, specie se sono in
compagnia, bestemmiano a ripetizione con l’evidente convinzione di
impressionare, in questo modo, le ragazze presenti. Ma credere questo, vuol
dire che si è ridotti proprio male. Spesso si impiega tanto zelo per convincere
una persona cara a smettere di fumare, dicendo che il fumo danneggia la
salute,perché non fare altrettanto per convincerla a non bestemmiare più? Oppure
a non fargli commettere azioni che trasgrediscono il decalogo evangelico?
IV domenica
di Quaresima
(Gv. 3, 14-21)
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in
lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome
dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce
è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché
non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce,
perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.“
Il serpente
innalzato nel deserto, questo gesto non privo di mistero, si illumina quando se ne colga l’intenzione
profetica.
Era l’immagine
del Figlio dell’uomo, innalzato sul legno della croce.
Il brano del
Vangelo di oggi si apre con una delle affermazioni, in assoluto più belle e
consolanti della Bibbia: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito, Perché chiunque crede in lui
non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Il mondo è e
rimane fondamentalmente ciò che Dio ha creato e ama!
Per parlarci del
suo amore, Dio si è servito di esperienze che l’uomo fa nell’ambito naturale.
Tutti gli amori umani (coniugale, paterno, materno, di amicizia) sono faville
di un incendio, che ha in Dio la sua sorgente e la sua pienezza. L’amore
paterno è fatto di stimolo, di spinta. Il padre vuole far crescere il figlio,
spingendolo a dare il meglio di sé. Per questo difficilmente, un papà loderà il
figlio incondizionatamente in sua presenza. Ha paura che si creda arrivato e
non si sforzi più. Un tratto d’amore paterno è anche la correzione. Ma un vero
padre è anche colui che dà libertà, sicurezza al figlio, che lo fa sentire
protetto nella vita. Ecco perché Dio si presenta all’uomo, lungo tutta la rivelazione,
come la “sua roccia e il suo baluardo”.
L’amore materno è
fatto invece di accoglienza, di compassione e di tenerezza; è un amore
viscerale. Le madri sono sempre un po’ complici dei figli e spesso devono
difenderli e intercedere per loro verso il padre. Si parla sempre della potenza
di dio e della sua forza; ma la Bibbia ci parla anche della debolezza di Dio.
E’ la “debolezza” materna.
L’uomo conosce
per esperienza un altro tipo di amore, l’amore sponsale, di cui si dice che è
“forte come la morte” e le cui vampe “sono vampe di fuoco”(Cantico dei cantici
8,6). E anche a questo tipo di amore Dio ha fatto ricorso per convincerci del
suo appassionato amore per noi.
Gesù ha portato a
compimento tutte queste forme di amore, ma ne ha aggiunto un’altra: l’amore di
amicizia. Diceva ai suoi apostoli: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato
amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”
(Gv. 15,15).
A noi non resta,
dopo aver conosciuto questo amore, che credere nell’amore di Dio,
accoglierlo; ripetere commossi, come san
Giovanni: “Noi abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi!”
(1Gv. 4,16).
V domenica
di Quaresima
(Gv. 12, 20-33)
Quando è detto a
Gesù che alcuni, che non lo conoscono, lo vogliono vedere, egli si presenta nel
suo stato di passione, che è insieme di esaltazione. La sua morte è come il
disfarsi di un grano che si moltiplica. Fuori della passione Gesù non è
riconoscibile.
Il Vangelo di
oggi ha un inizio molto movimentato. Per assistere al culto festivo si erano
presentati alcuni proseliti ebrei provenienti dal mondo ellenistico per vedere
il rabbi di cui tutti parlavano, l’operatore di miracoli. Agli apostoli Andrea
e Filippo che si erano recati da Gesù per informarlo delle richieste, Gesù
rispose: “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”.
Gesù ci rivela
“come” Gesù desidera essere visto. Non come l’operatore di miracoli, ma come
colui che salva il mondo con l’umiltà e la sofferenza della croce.
Quando il chicco
di grano sarà caduto e morto, solo allora si saprà chi è veramente Gesù.
L’immagine del
chicco di grano getta luce, prima di tutto, sulla vicenda personale e poi anche
su quella dei suoi discepoli. Come un chicco di frumento, egli è caduto in
terra nella sua passione e morte, è rispuntato e ha portato frutto con la sua
risurrezione. Il “frutto” che egli ha portato è la Chiesa che è nata dalla sua
morte, il suo corpo mistica. Potenzialmente, il “frutto” è tutta l’umanità, non
solo noi battezzati, perché egli è morto
per tutti, tutti sono stati da lui redenti, anche chi ancora non lo sa. Il
brano evangelico si conclude con queste significative parole di Gesù: “Io,
quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”.
Ma la storia del
piccolo chicco di grano aiuta anche, per un altro verso, a capire noi stessi e
il senso della nostra esistenza. Dopo aver parlato del chicco di grano, Gesù
aggiunge: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo,
la conserverà per la vita eterna”. Cadere in terra e morire, non è dunque solo
la via per portare frutto, ma anche per “salvare la propria vita”. Solo il
chicco seminato, rispunterà e conoscerà una nuova vita, come avviene per quei
chicchi di grano che vediamo seminati in autunno.
Sul piano umano e
spirituale ciò significa che se l’uomo non passa attraverso la trasformazione
che viene dalla fede e dal battesimo, se non accetta la croce, ma rimane
attaccato al suo naturale modo di essere e al suo egoismo, tutto finirà con
lui. Se invece crede e accetta la croce in unione con Cristo, allora gli si
apre davanti l’orizzonte dell’eternità. In questa vita ci sono situazioni,
progetti, affetti che per noi rappresentano tutto e che a volte vediamo
fallire. E solo se resisteranno a tale prova, essi ci daranno quella tempra che
ci rigenererà come il chicco seminato in autunno.
Adelaide Rossi, ofs
Adelaide Rossi, ofs
Le
illustrazioni sono di Jerome Nadal (Geronimo Nadal in spagnolo), nato a Maiorca nel
1507 e morto nel 1580. Egli è stato uno dei primi membri della Compagnia di Gesù e dei più stretti collaboratori di Ignazio di Loyola.
La “Compagnia di Gesù”, noti come Gesuiti, sono fondati in piena Controriforma o Riforma cattolica Tridendina ed esprimono pienamente il loro tempo ricco di grandi fermenti spirituali. - Questo periodo espresse, in ambito francescano, la riforma dei frati cappuccini.
Un altra piccola osservazione: la Chiesa del Gesù, a Roma, manifesto figurativo della spiritualità gesuita contiene un bellissimo ciclo pittorico dedicato a S. Francesco a testimonianza dell'influenza che ebbe il Poverello d'Assisi per Ignazio di Lojola.
a cura di Marco Stocchi, ofs