LA SCELTA DELLA POVERTA' FRANCESCANA E' ACCOGLIENZA DELLA CONDIZIONE UMANA QUANTO TALE - una riflessione di Adelaide Rossi



Nella storia del cristianesimo, come di altre forme religiose, è comparsa la tendenza alla “fuga dal mondo”, dalla sua povertà, dai suoi limiti, come condizione previa per salvarsi e santificarsi.

Una scelta che va capita nel preciso contesto storico di ogni esperienza. Ma nel nostro momento storico ogni autentica esperienza di fede cristiana e di vita religiosa non può prevedere la “fuga mundi”, non chiede di disincarnarsi e di mirare alla condizione angelica prima del tempo.
Anche la vita claustrale più stretta non si configura affatto come “fuga mundi”, ma come un diverso e più profondo inserimento nelle dinamiche storiche con lo sguardo rivolto intensamente a Gesù.

Nella scelta operata con il voto di povertà rientra pienamente l’accoglienza della condizione umana in quanto tale, segnata dalla sua limitatezza e fragilità, comprendendola e amandola quale “luogo”, non solo fisico ma teologico, in cui si gioca la partita della santità, in cui si accettano le sfide, le prove, insieme alla vocazione, alla fede e alla santità, dove si vive la propria testimonianza di fede, di speranza e di carità.

Con il voto, con la scelta della povertà non semplicemente si accetta, si tollera, ma si “sposa” la condizione umana ed il mondo, nella forma singolare e nella maniera adottata dal Creatore, che in Cristo suo Figlio ha “sposato” il mondo e la nostra umanità. Il Mistero dell’Incarnazione ci illumina profondamente e dà senso alla scelta della povertà evangelica. 

Non si tratta di adattarsi/adeguarsi al mondo, alla realtà segnata dal limite, dal peccato facendosi in qualche modo “catturare”, prendere dal limite stesso, oltre il quale non si scorge più nulla e dal quale non si emerge, come nella palude delle sabbie mobili: questa è la miseria, la condizione di sottomissione al limite, che toglie ogni spazio alla vera libertà, alla speranza e quindi alla carità.

Il Mistero dell’Incarnazione ci parla di un’altra logica della condizione umana: i limiti sono fatti propri e accolti non come valore in se stesso ma come condizione essenziale ed ineludibile di partenza, come trampolino di lancio per un salto di qualità, per un itinerario di liberazione e di salvezza, per un riscatto che segni un nuovo inizio.

I Padri della Chiesa riassumevano la logica dell’Incarnazione nel motto “Quod non assumptum non sanatum”. 
Il Figlio che si fa carne entra nella povertà e limitatezza della condizione umana e così facendo la salva, cioè la ribalta, la trasforma radicalmente dal di dentro, perché l’infinito di Dio nel finito dell’uomo, la luce di Dio nell’oscurità del mondo, la gioia del cielo nella tristezza della terra.

La scelta della povertà ci fa dunque partecipi del Mistero dell’Incarnazione:
come il Figlio è mandato dal Padre nella povertà della condizione umana per amarla e salvarla, così non siamo chiamati e mandati nella stessa condizione per amarla con Lui, come Lui, e spingerla verso la trasformazione nel Regno di Dio.

Adelaide Rossi, ofs