Nella storia del cristianesimo, come di altre forme religiose, è comparsa
la tendenza alla “fuga dal mondo”, dalla sua povertà, dai suoi limiti,
come condizione previa per salvarsi e santificarsi.
Una scelta che va capita nel preciso contesto storico di ogni esperienza.
Ma nel nostro momento storico ogni autentica esperienza di fede cristiana e
di vita religiosa non può prevedere la “fuga mundi”, non chiede di
disincarnarsi e di mirare alla condizione angelica prima del tempo.
Anche la vita claustrale più stretta non si configura affatto come “fuga
mundi”, ma come un diverso e più profondo inserimento nelle dinamiche
storiche con lo sguardo rivolto intensamente a Gesù.
Nella scelta operata con il voto di povertà rientra pienamente l’accoglienza
della condizione umana in quanto tale, segnata dalla sua limitatezza e
fragilità, comprendendola e amandola quale “luogo”, non solo fisico ma
teologico, in cui si gioca la partita della santità, in cui si accettano le
sfide, le prove, insieme alla vocazione, alla fede e alla santità, dove si vive
la propria testimonianza di fede, di speranza e di carità.
Con il voto, con la scelta della povertà non semplicemente si accetta, si
tollera, ma si “sposa” la condizione umana ed il mondo, nella forma
singolare e nella maniera adottata dal Creatore, che in Cristo suo Figlio ha
“sposato” il mondo e la nostra umanità. Il Mistero dell’Incarnazione ci
illumina profondamente e dà senso alla scelta della povertà evangelica.
Non si tratta di adattarsi/adeguarsi al mondo, alla realtà segnata dal
limite, dal peccato facendosi in qualche modo “catturare”, prendere dal limite stesso, oltre il quale non
si scorge più nulla e dal quale non si emerge, come nella palude delle sabbie
mobili: questa è la miseria, la condizione di sottomissione al limite, che
toglie ogni spazio alla vera libertà, alla speranza e quindi alla carità.
Il Mistero
dell’Incarnazione ci parla di un’altra logica della condizione umana: i limiti sono fatti propri e accolti non come
valore in se stesso ma come condizione essenziale ed ineludibile di partenza,
come trampolino di lancio per un salto di qualità, per un itinerario di
liberazione e di salvezza, per un riscatto che segni un nuovo inizio.
I Padri della Chiesa riassumevano la logica dell’Incarnazione nel motto “Quod
non assumptum non sanatum”.
Il Figlio che si fa carne entra nella povertà e limitatezza della condizione umana e così facendo la salva, cioè la ribalta, la trasforma radicalmente dal di dentro, perché l’infinito di Dio nel finito dell’uomo, la luce di Dio nell’oscurità del mondo, la gioia del cielo nella tristezza della terra.
Il Figlio che si fa carne entra nella povertà e limitatezza della condizione umana e così facendo la salva, cioè la ribalta, la trasforma radicalmente dal di dentro, perché l’infinito di Dio nel finito dell’uomo, la luce di Dio nell’oscurità del mondo, la gioia del cielo nella tristezza della terra.
La scelta della
povertà ci fa dunque partecipi del Mistero dell’Incarnazione:
come il Figlio è mandato dal Padre nella povertà della condizione umana per amarla e salvarla, così non siamo chiamati e mandati nella stessa condizione per amarla con Lui, come Lui, e spingerla verso la trasformazione nel Regno di Dio.
come il Figlio è mandato dal Padre nella povertà della condizione umana per amarla e salvarla, così non siamo chiamati e mandati nella stessa condizione per amarla con Lui, come Lui, e spingerla verso la trasformazione nel Regno di Dio.
Adelaide
Rossi, ofs