CAMMINANDO NEL VANGELO / 30^ Domenica del T. O. (Lc. 18, 9-14) - nel commento di Adelaide Rossi, ofs

Incisione di Gustave Dorè


Il fariseo non è ascoltato, perché si presenta a Dio vantando i propri meriti ed elogiando le proprie virtù. Dio esaudisce la preghiera che sale da un cuore pentito, consapevole delle proprie colpe, affidato alla grazia e alla pietà divina.

Il Vangelo di questa domenica propone, dal vangelo di Luca, l'ascolto della parabola del fariseo e del pubblicano. Potremmo sentirci  fare un commento più o meno di questo tipo:  il fariseo rappresenta il benpensante che si sente a posto con Dio e con gli uomini e guarda con disprezzo il prossimo. Il pubblicano è la persona che ha sbagliato, però lo riconosce e ne chiede umilmente perdono a Dio; non pensa di salvarsi per i meriti propri ma per la misericordia di Dio. La scelta di Gesù tra queste due persone non lascia dubbi, come indica il finale della parabola: quest’ultimo va a casa giustificato, cioè perdonato, riconciliato con Dio; il fariseo torna a casa come ne era uscito: tenendosi stretta la sua giustizia, ma perdendo quella di dio.

Questa spiegazione però ci lascia alquanto insoddisfatti. Non che essa sia errata, ma non risponde più aia tempi. Gesù diceva le sue parabole per la gente che l’ascoltava in quel momento. In una cultura satura di fede e di religiosità come quella della Galilea e Giudea del tempo, l’ipocrisia consisteva nell’ostentare osservanza della legge e santità, perché queste erano le cose che attiravano il plauso.
Nella nostra cultura secolarizzata e permissiva, i valori sono cambiati. Ciò che si ammira e apre le strade al successo è proprio il contrario di una volta: è il rifiuto delle norme morali tradizionali, l’indipendenza, la libertà dell’individuo, la critica ai credenti e alla Chiesa. Per i farisei la parola d’ordine era “osservanza” delle norme; per molti oggi la parola d’ordine è “trasgressione”. Dire di un autore, di un libro o di uno spettacolo che è “trasgressivo”è fargli uno dei complementi più ambiti.
In altre parole, i pubblicani di ieri sono i farisei di oggi! Oggi è il pubblicano, il trasgressore, che dice a Dio: “Ti ringrazio, Signore, che non sono come quel fariseo, ipocrita e intollerante, che si preoccupa del digiuno, ma nella vita è peggiore di noi”. Oppure prega paradossalmente: “Ti ringrazio, o Dio, che sono un ateo!”.
Si tende infatti, specie da parte dei giovani, a mostrarsi peggiori e più spregiudicati di quello che si è, per non sembrare da meno degli altri.
Una conclusione pratica, valida sia nell’interpretazione tradizionale accennata all’inizio che in quella sviluppata qui, possa essere questa. Pochissimi (o forse nessuno) sono o sempre dalla parte del fariseo o sempre dalla parte del pubblicano, cioè giusti in tutto o peccatori in tutto. I più, spero, abbiano un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. La cosa peggiore sarebbe comportarci come il pubblicano nella vita e il fariseo nel tempio. I pubblicani erano uomini senza scrupoli che mettevano il denaro e gli affari al di sopra di tutto, erano peccatori; i farisei, al contrario, erano, nella vita pratica, molto austeri e osservanti della legge. Noi somigliamo al pubblicano nella vita e al fariseo nel tempio, siamo peccatori e ci crediamo giusti
Se questo dobbiamo essere, allora che sia almeno il rovescio: farisei nella vita e pubblicani nel tempio! Come il fariseo,  cerchiamo di non essere nella vita ladri e ingiusti, di osservare i comandamenti e pagare le tasse; come il pubblicano, riconosciamo, quando siamo al cospetto di Dio, che quel poco che abbiamo fatto è tutto dono suo e imploriamo, per noi e per tutti, la sua misericordia.
                                                                                                     Adelaide  Rossi, ofs