(Mt. 23, 1-12)
Gesù rimprovera gli scribi e i farisei, i capi e maestri del popolo. Non
per quello che dicono e insegnano –che va accolto - ma per la loro incoerenza e
infedeltà. Sono esigenti, rigidi con gli altri, ma accondiscendenti con se
stessi.
Il nome del maestro ci riporta ad una
figura, alla cui scuola che ci si è formati. Ma il rapporto maestro-discepolo era
ancora più importante al tempo di Gesù, quando non c’erano libri e tutta la
saggezza si trasmetteva per via orale, da maestro a discepolo
In un punto Gesù si distacca da quello
che avveniva al suo tempo tra il maestro e i discepoli. Questi si pagavano gli
studi servendo il maestro, facendo per lui piccole commissioni, tra cui c’era
il lavargli i piedi. Con Gesù avviene il rovescio; è lui che serve i discepoli
e lava loro i piedi. Egli è l’esatto opposto dei maestri rimproverati nel brano
odierno di Vangelo, i quali “legano pesanti fardelli e li impongono sulle
spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”.
Ma che vuol dire che Gesù è l’unico
maestro? Non che questo titolo d’ora in poi non deve essere più usato per
nessun altro. Vuol dire che nessuno ha il diritto di farsi chiamare Maestro con
la lettera maiuscola, come se fosse il possessore ultimo della verità e
insegnasse in nome proprio la verità su Dio. Gesù è la suprema e definitiva
rivelazione di Dio agli uomini che contiene in sé tutte le rivelazioni parziali
che si sono avute prima o dopo di lui. Non si è limitato a dirci chi è Dio, ci
ha anche detto cosa vuole Dio, qual è la sua volontà su di noi.
Papa Giovanni Paolo II ci ha ricordato questo con l’enciclica Lo splendore delle verità (Spledor veritatis) e il suo successore Benedetto XVI non si è mai stancato di insistervi. Non si tratta di escludere un sano pluralismo di vedute sulle diverse questioni ancora aperte che si presentano all’umanità, ma di combattere quella forma di relativismo assoluta che nega la possibilità stessa di verità certe e definite.
Papa Giovanni Paolo II ci ha ricordato questo con l’enciclica Lo splendore delle verità (Spledor veritatis) e il suo successore Benedetto XVI non si è mai stancato di insistervi. Non si tratta di escludere un sano pluralismo di vedute sulle diverse questioni ancora aperte che si presentano all’umanità, ma di combattere quella forma di relativismo assoluta che nega la possibilità stessa di verità certe e definite.
Contro questo relativismo il magistero
della Chiesa riafferma che esiste una Verità assoluta perché esiste Dio che è
il misuratore della verità. Ma poiché la coscienza si è appannata per il
peccato, per le abitudini e gli esempi contrari, ecco il ruolo di Cristo che è
venuto a rivelare in modo chiaro questa verità di Dio; ecco anche il ruolo
della Chiesa e del suo magistero che spiega tale verità di Cristo e la applica
alle mutevoli situazioni della vita.
Adelaide Rossi, ofs