NATALE DEL SIGNORE / anno B - Commento di Adelaide Rossi. Con una incisione di Gustave Dorè.

Dal grembo santo di Maria, vergine illibata, viene a noi il Figlio di Dio. E’ un prodigio che solo la potenza divina sa operare, una grazia che solo lo Spirito Santo può elargire.

NATALE DEL SIGNORE (s)

Is 52,7-10; Sal 97 (98);
Eb 1,1-6; Gv 1,1-18 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.        - Parola del Signore.


“Il Verbo si fece carne” (Gv. 1, 1-18)  è il contenuto del Natale. L’evangelista Giovanni vuol dire che il Figlio di Dio, che esiste dall’eternità, che è Dio e Creatore, che è fonte della Vita e della Luce, è veramente uomo e non solo in apparenza.
Nel Credo c’è una frase che in questo giorno si recita in ginocchio: “Per noi uomini e per la nostra salvezza, discese dal cielo”.  E’ la risposta fondamentale e perennemente valida alla domanda: “Perché il Verbo si è fatto carne?”, ma ha bisogno di essere compresa ed integrata.
La domanda infatti rispunta sotto altra forma: “E perché si è fatto uomo “per la nostra salvezza”?”.
Solo perché noi avevamo peccato e avevamo bisogno di essere salvati? Un filone della teologia,  inaugurato dal beato Duns Scoto, teologo francescano, scioglie l’incarnazione da un legame troppo esclusivo con il peccato dell’uomo e le assegna, come motivo primario, la gloria di Dio: “Dio decreta l’incarnazione del Figlio per avere qualcuno, fuori di sé, che lo ami in modo sommo e degno di sé”. Questa risposta, pur bellissima, non è ancora definitiva.
Per la Bibbia la cosa più importante non è, come per i filosofi greci, che Dio sia amato,  ma che Dio “ama” e ama per primo (1 Gv. 4, 10.19). Dio ha voluto l’incarnazione del Figlio non tanto per avere qualcuno fuori della Trinità che lo amasse in modo degno di sé, quanto piuttosto per avere qualcuno da amare in modo degno di sé, cioè senza misura!
A Natale, quando nasce Gesù, Dio Padre ha qualcuno da amare in misura infinita, perché Gesù è uomo e Dio nello stesso tempo. Ma non solo Gesù, anche noi insieme con lui. Noi siamo inclusi in questo amore, essendo diventati membra del corpo di Cristo, “figli nel Figlio”. Ce lo ricorda lo stesso Prologo di Giovanni: “A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
Cristo è dunque disceso dal cielo “per la nostra salvezza”, ma quello che l’ha spinto a farlo, è stato l’amore, nient’altro che l’amore. Natale è la prova suprema dell’amore di Dio per gli uomini. Questa risposta al perché dell’incarnazione era scritta a chiare lettere nella Scrittura,  dallo stesso evangelista che ha scritto il Prologo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv. 3, 16).

Quale deve essere allora la nostra risposta al messaggio del Natale? Il canto natalizio Adeste fideles dice: “Come non riamare uno che ci ha amato tanto?”. Si possono fare tante cose per solennizzare il Natale, ma la cosa più vera e più profonda ci è suggerita da queste parole. Un pensiero sincero di gratitudine, di commozione e di amore per colui che è venuto ad abitare in mezzo a noi, è il dono più squisito che possiamo dare al Bambino Gesù, l’ornamento più bello intorno al suo presepio.
Per essere sincera, però, l’amore ha bisogno di tradursi in gesti concreti. Il più semplice e universale è il bacio. Diamo dunque un bacio a Gesù come si desidera fare con tutti i bambini appena nati. Ma non accontentiamoci di darlo solo alla sua statuina di gesso, diamolo a un Gesù Bambino in carne ed ossa. Diamolo a un povero, a un sofferente e lo abbiamo dato a lui!
Dare un bacio, in questo senso, significa dare un aiuto concreto, ma anche una parola buona, un incoraggiamento, una visita, un sorriso, e perché no?, un bacio reale. Sono le luci più belle che possiamo accendere nel nostro presepio.



Questi brani del Vangelo  mi hanno favorito altri punti di riflessione:

1)         L’esegesi delle tre liturgie natalizie rivela un sottile collegamento con la Pasqua.  Bisogna perciò superare un troppo facile sentimentalismo natalizio sostenuto dai consumi , dal folklore… Bisogna invece recuperare il Natale come inizio dell’incontro pasquale tra umanità e divinità, tra creatura e creatore.

2)         La parola fondamentale del Natale è l’incarnazione: nascita del Cristo nella dimensione della carne, nascita di ogni uomo come evento santo ed ancor più nascita di ogni credente “non da carne né da volere di uomo ma da Dio”. Vita, persona, storia dell’uomo sono ora innervate di eternità.

3)         Cristo è la Parola, quindi esige ascolto-obbedienza; Cristo è Luce, quindi esige la lotta alla cecità (prologo di Gv.); Cristo è Vita, quindi esige adesione nel cuore e nell’esistenza. Il Natale è l’occasione per  la revisione della conoscenza della Bibbia (Parola), per l’adesione fedele nel culto (Luce), per l’impegno concreto nella giustizia e nell’amore (Vita).

4)         Giorno di consolazione (Is. 52) il Natale è radice di pace, di serenità, di apertura, di libertà. Nel Natale di Cristo chiediamo per noi un po’ meno di “religione” tradizionale e un po’ più di “fede”.