In un’intervista a “Radio Vaticana”, il postulatore della Causa di Beatificazione, Andrea Ambrosi, ha ricordato icone il suo parroco, Josef Karobath, usciva dai colloqui con Franz “ammutolito” nel sentire le citazioni delle Sacre Scritture che faceva per motivare la sua posizione.
Josef Karobath, parroco di Franz Jaegerstaetter:
“… ci ha sempre sconfitti citando le Scritture”.
Non è senza significato che il suo parroco Josef Karobath, dopo la discussione decisiva nel 1943, pochi giorni prima della chiamata all’arruolamento, abbia scritto: “Mi ha lasciato ammutolito, perché aveva le argomentazioni migliori. Lo volevamo far desistere ma ci ha sempre sconfitti citando le Scritture”. Franz è ghigliottinato a Brandeburgo (Berlino) - nello stesso carcere si trovava anche il Bonhoffer - il 9 agosto 1943.
Quel giorno indirizzò alla sua famiglia rimasta a casa la sua ultima lettera, scritta poche ore prima dell'esecuzione, che la vedova, ancora vivente, conserva come un prezioso testamento.
“Carissima sposa e madre vi ringrazio ancora di cuore per tutto ciò che avete fatto per me nella mia vita, per l'amore che mi avete donato e per i sacrifici che avete sostenuto per me [...] non mi è stato possibile risparmiarvi le sofferenze [...] salutate da parte mia le mie care bambine, di tutto cuore. Pregherò il buon Dio, appena potrò arrivare in cielo, di riservare un posticino per tutti voi”.
Nel 1997 è stato ufficialmente aperto il processo per la beatificazione di Franz Jägerstätter, chiuso presso la diocesi il 21 giugno 2001. L‘1 giugno 2007 il Vaticano ha confermato ufficialmente il suo martirio.
Nell'intervista alla “Radio Vaticana”, il postulatore della Causa di Beatificazione ha affermato che Jägerstätter “è stato capace di sacrificare sull’altare dell’amore a Dio i suoi tenerissimi affetti terreni. La sua più grande aspirazione era quella di testimoniare la sua esclusiva appartenenza a Dio, essendo capace per questa sua indefettibile fedeltà di dare la propria vita”.
In un articolo apparso, invece, su “L'Osservatore Romano” (26 ottobre 2007), il postulatore ha raccontato che tra i 21 testimoni totali della Causa alcuni erano presenti agli ultimi giorni di vita del Servo di Dio, che anche in carcere continuava a pregare e meditare.
In particolare, il sign. Gregor Breit, che condivise con lui la dura esperienza detentiva nel carcere militare di Linz, ha testimoniato come Jägerstätter “abbia sopportato con infinita pazienza la dura detenzione carceraria, evidentemente mosso da quella fortissima spinta religiosa che gli faceva superare il dolore di dover lasciare gli affetti più cari”.
Nel suo testamento vergato a Berlino nel luglio del 1943 si legge: “Scrivo con le mani legate, ma preferisco questa condizione al sapere incatenata la mia volontà. Non sono il carcere, le catene e nemmeno una condanna che possono far perdere la fede a qualcuno o privarlo della libertà”.
E' interessante osservare quali fattori influirono sulla decisione coraggiosa e solitaria dello Jagerstatter. Gordon Zahn scrive nel suo libro:
a cura di Marco Stocchi, ofs
"A Santa Radegonda, per spiegare la condotta di Jagerstatter, si fa molto spesso riferimento alle sue relazioni con il cugino testimone di Geova. Si dà molta importanza al tempo che trascorsero insieme in lunghe discussioni su argomenti religiosi o per studiare la Bibbia. I testimoni di Geova, in Austria come negli Stati Uniti, rifiutano di prendere parte a guerre di ordine temporale, nell'attesa di un conflitto in cui dovranno impegnare tutte le loro forze per riportare una vittoria eterna; ecco perché un gran numero di essi vennero condannati a morte per aver rifiutato di prendere parte alle guerre hitleriane. Non c'è da meravigliarsi che quella gente di campagna, guidata dal buon senso, abbia potuto attribuire all'obiezione di coscienza di Jagerstatter all'influenza del cugino … Tuttavia, padre Kreuzberg avanza una riserva: pur ammettendo che essa non abbia influito sull'ortodossia di Franz, ritiene però che l'esempio di quegli uomini fedeli alla loro fede e disposti ai più grandi sacrifici, abbia potuto incoraggiarlo nella sua decisione. Padre Kreuzberg ricordava di aver sentito Franz parlargli con ammirazione della loro fede incrollabile" ("Il testimone solitario. Vita e morte di F. Jagerstatter", Gribaudi, 1968. pp. 131, 133).Altre testimonianze:
“In Franz c’è una serenità, anche se mediata e sofferta, di adesione al pieno significato del messaggio evangelico: in lui la coerenza diventa fattore distintivo, non per preconcetti ideologici o per un astratto pacifismo, ma perché si lascia condurre dalla concreta e vissuta adesione ai valori, ai significati, alle esigenze di ciò in cui crede. Nella vicenda umana e religiosa di F. Jägerstätter emerge con forza il primato della coscienza, vero faro per il comportamento di un semplice laico cristiano. Senza eccedere a posizioni eterodosse, Franz si pone in fermo ascolto di ciò che “gli sembra giusto”. Lo fa con enorme sofferenza, perché deve andare contro di ciò che ha di più caro, la famiglia (la moglie e le tre figlie in tenera età) contro i pastori della Chiesa (ma non tutti), contro i suoi concittadini, di cui “sente” la disapprovazione, lui a cui era stato chiesto di diventare sindaco” (Erna Putz,"Franz Jagerstatter. Un contadino contro Hitler", Berti Ed. 2000. p. 193).
“Il cristianesimo è una cosa seria. Questa è la convinzione che anima fortemente gli ultimi anni di Franz, quando la serietà della sua scelta lo conduce ad affrontare scelte dolorose: “La chiamata al cristianesimo è qualcosa di molto serio. Il nome da solo non basta, ne bastano i sentimenti devoti” (Andrea Riccardi, prefazione al libro di Cesare A. Zucconi, “Cristo o Hitler”, Ed. San Paolo, p 14).
"Davanti alla moglie – che lo accompagnò fedelmente nelle difficili scelte - nei 20 minuti di colloquio concesso in carcere, a Berlino, poche settimane prima dell’epilogo, ricorda che ciò che li attende è il Cielo e “chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me ” (Mt. 8,37). (Benedetto XVI nella Lettera apostolica per la beatificazione).
a cura di Marco Stocchi, ofs