Incisione di Gustave Dorè |
Il
fariseo non è ascoltato, perché si presenta a Dio vantando i propri meriti ed
elogiando le proprie virtù. Dio esaudisce la preghiera che sale da un cuore
pentito, consapevole delle proprie colpe, affidato alla grazia e alla pietà
divina.
Il Vangelo di questa domenica propone, dal vangelo di Luca, l'ascolto della parabola del
fariseo e del pubblicano. Potremmo sentirci fare un
commento più o meno di questo tipo: il fariseo rappresenta il benpensante che
si sente a posto con Dio e con gli uomini e guarda con disprezzo il prossimo.
Il pubblicano è la persona che ha sbagliato, però lo riconosce e ne chiede
umilmente perdono a Dio; non pensa di salvarsi per i meriti propri ma per la
misericordia di Dio. La scelta di Gesù tra queste due persone non lascia dubbi,
come indica il finale della parabola: quest’ultimo va a casa giustificato, cioè
perdonato, riconciliato con Dio; il fariseo torna a casa come ne era uscito:
tenendosi stretta la sua giustizia, ma perdendo quella di dio.
Questa spiegazione però ci lascia alquanto insoddisfatti. Non che essa sia errata, ma non risponde più aia tempi. Gesù diceva le sue parabole per la gente che l’ascoltava in quel momento. In una cultura satura di fede e di religiosità come quella della Galilea e Giudea del tempo, l’ipocrisia consisteva nell’ostentare osservanza della legge e santità, perché queste erano le cose che attiravano il plauso.
Nella nostra cultura secolarizzata e permissiva, i
valori sono cambiati. Ciò che si ammira e apre le strade al successo è proprio
il contrario di una volta: è il rifiuto delle norme morali tradizionali,
l’indipendenza, la libertà dell’individuo, la critica ai credenti e alla
Chiesa. Per i farisei la parola d’ordine era “osservanza” delle norme; per
molti oggi la parola d’ordine è “trasgressione”. Dire di un autore, di un libro
o di uno spettacolo che è “trasgressivo”è fargli uno dei complementi più
ambiti.
In altre parole, i pubblicani di ieri sono i
farisei di oggi! Oggi è il pubblicano, il trasgressore, che dice a Dio: “Ti
ringrazio, Signore, che non sono come quel fariseo, ipocrita e intollerante,
che si preoccupa del digiuno, ma nella vita è peggiore di noi”. Oppure prega
paradossalmente: “Ti ringrazio, o Dio, che sono un ateo!”.
Si tende infatti, specie da parte dei giovani, a
mostrarsi peggiori e più spregiudicati di quello che si è, per non sembrare da
meno degli altri.
Una conclusione pratica, valida sia
nell’interpretazione tradizionale accennata all’inizio che in quella sviluppata
qui, possa essere questa. Pochissimi (o forse nessuno) sono o sempre dalla
parte del fariseo o sempre dalla parte del pubblicano, cioè giusti in tutto o
peccatori in tutto. I più, spero, abbiano un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.
La cosa peggiore sarebbe comportarci come il pubblicano nella vita e il fariseo
nel tempio. I pubblicani erano uomini senza scrupoli che mettevano il denaro e
gli affari al di sopra di tutto, erano peccatori; i farisei, al contrario,
erano, nella vita pratica, molto austeri e osservanti della legge. Noi
somigliamo al pubblicano nella vita e al fariseo nel tempio, siamo
peccatori e ci crediamo giusti
Se questo dobbiamo essere, allora che sia almeno
il rovescio: farisei nella vita e pubblicani nel tempio! Come il
fariseo, cerchiamo di non essere nella
vita ladri e ingiusti, di osservare i comandamenti e pagare le tasse; come il
pubblicano, riconosciamo, quando siamo al cospetto di Dio, che quel poco che
abbiamo fatto è tutto dono suo e imploriamo, per noi e per tutti, la sua
misericordia.
Adelaide Rossi, ofs