Hans Memling S. Stefano |
Pubblichiamo nel giorno di
Santo Stefano, primo dei martiri, questo testo di fr. Giacomo Bini, già
Ministro generale dell’Ordine dei frati minori che lo scorso maggio è tornato
alla casa del Padre: «La vita continua» sono state le ultime parole di Fr.
Giacomo, ricordate dal Ministro generale, Fr.
M. Perry, nell’Omelia delle esequie.
Il testo è stato scritto in
occasione della beatificazione di fr. Pascual Fortuño Almela, fr. Plácido
García Gilabert, fr. Alfredo Pellicer Muñoz, fr. Salvador Mollar Ventura,appartenenti
all’Ordine dei Frati Minori. Furono beatificati l’11 marzo 2001 da Papa
Giovanni Paolo II con un gruppo composto complessivamente di ben 233 martiri
della medesima persecuzione causata dalla Guerra civile spagnola.
Prima di ritornare al Padre e
dopo aver invocato la discesa dello Spirito sui suoi discepoli, Gesù li invia
al mondo intero perché siano suoi «testimoni - martyres - sino ai confini della
terra» (At 1,8). Continuare la missione di Gesù fra gli uomini significa
avviarsi per un cammino di martirio, cioè di testimonianza radicale, di dono di
sé al Padre fino in fondo. Come Gesù, anche il discepolo si consegna totalmente
alla volontà del Padre, testimoniando il suo amore fedele per gli uomini.
Essere discepolo del Signore risorto significa inserirsi immediatamente in una
dinamica di kenosi, di morte e resurrezione; implica un lungo viaggio di
“svuotamento”, di abbandono. Il cammino “verso Gerusalemme” è sin dall’inizio
cammino verso la croce. Proprio questo amore, segnato dal dono di sé sino alla
più totale spoliazione e annientamento, ha caratterizzato la vita di Francesco
d’Assisi, facendone un imitatore fedele del “Martire per eccellenza”, il
Signore Gesù.
Il Poverello è attratto e conquistato dall’amore di Dio, quell’amore povero, fragile, impotente, minacciato sin dalla nascita, che si consegna volontariamente alla morte per la riconciliazione e la pace. Sull’esempio di questa ostinata dedizione, anche Francesco rende la sua vita una testimonianza evangelica di fiducia e di dono incondizionato, un “martirio” pur senza spargimento di sangue.
Il Vangelo secondo Giovanni inizia con questo “esodo” di Gesù: «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). E Francesco esprime “parabolicamente” la sua vocazione evangelica al seguito di Gesù con la pagina della “perfetta letizia”, che ripresenta esattamente il medesimo contenuto.
Il Poverello è attratto e conquistato dall’amore di Dio, quell’amore povero, fragile, impotente, minacciato sin dalla nascita, che si consegna volontariamente alla morte per la riconciliazione e la pace. Sull’esempio di questa ostinata dedizione, anche Francesco rende la sua vita una testimonianza evangelica di fiducia e di dono incondizionato, un “martirio” pur senza spargimento di sangue.
Il Vangelo secondo Giovanni inizia con questo “esodo” di Gesù: «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). E Francesco esprime “parabolicamente” la sua vocazione evangelica al seguito di Gesù con la pagina della “perfetta letizia”, che ripresenta esattamente il medesimo contenuto.
La vocazione francescana consiste in radice in questo “martirio”, in un
pellegrinaggio di ritorno al Padre nella espropriazione sempre più radicale di
se stessi, diventando dono e obbedienza al Padre perché il mondo abbia la vita,
la pace e la riconciliazione.
Da Assisi il carisma francescano
si lancia subito verso l’Europa, l’Africa, l’Asia, verso ogni uomo che attende
la misericordia di Dio. Tale è stato l’impegno testimoniante della primitiva e
itinerante fraternità francescana, fedele al mandato del Signore. Se «La
missione è l’indicatore esatto della nostra fede in Cristo e del suo amore per
noi» (Redemptoris Missio, 11), Francesco e i suoi primi compagni hanno colto
profondamente questa relazione inscindibile tra fede e missione, incarnando e
testimoniando l’urgenza del Regno nell’esperienza quotidiana; la fede e l’amore
che condurranno alcuni fratelli allo spargimento del sangue sono espressione
conclusiva di questa fedeltà. Ecco perché il poverello, udendo l’annuncio del
martirio dei primi cinque frati nel 1220 in Marocco, esclamerà: «Ora posso dire
di avere cinque veri frati minori!». A questi primi “veri” discepoli ne
seguiranno altri, a Ceuta e a Valencia, contemporanei e compagni di Francesco.
La catena di questi testimoni, lo sappiamo bene, continua sino ai nostri giorni, e il 20° secolo è uno dei più segnati dal sangue di tanti martiri, cosicché anche noi, insieme a S. Agostino, possiamo esclamare: «Tutta la terra è bagnata dal sangue dei martiri; il cielo si illumina della loro corona; le chiesa sono adornate dalle loro tombe; le stagioni sono determinate dal loro ricordo; la salute del corpo e dell’anima è custodita dai loro meriti».
La stessa esperienza di fede e di amore sta anche alla base del martirio dei
quattro francescani di Valencia beatificati oggi: fr. Pascual Fortuño Almela,
fr. Plácido García Gilabert, fr. Alfredo Pellicer Muñoz, fr. Salvador Mollar
Ventura, tutti uccisi tra l’agosto e l’ottobre 1936 *) , quasi a coronare una
vita totalmente donata al Signore.
Oggi la Provvidenza ci offre l’occasione di partecipare alla solenne
beatificazione di questi quattro nostri fratelli: sul loro esempio, anche noi
ci sentiamo stimolati a percorrere sino in fondo il cammino della sequela di
Gesù, per testimoniare anche oggi, a tanti fratelli e sorelle assetati di
autenticità e di ideali per cui valga la pena di vivere, che l’esperienza della
tenerezza paterna di Dio dà senso ad ogni esistenza e la conduce alla sua
massima realizzazione.