DESIDERARE LO SPIRITO DEL SIGNORE


DESIDERARE LO SPIRITO DEL SIGNORE

San Francesco d’Assisi non ha scritto trattati di preghiera, né si è preoccupato d’insegnare ai suoi frati un “metodo” di preghiera. E tuttavia fu guida sicura ed esempio vivente nel cammino con Dio. Il cuore dei suoi insegnamenti sulla preghiera e della sua esperienza personale è racchiuso in questa frase della Regola bollata (10,8: FF 104): (i frati) facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo spirito del Signore e la sua santa operazione”.

La vita di preghiera, secondo san Francesco, è innanzitutto un desiderio profondo, una ricerca incessante dello Spirito del Signore e del suo agire dentro di noi: da soli saremmo incapaci persino di nominare degnamente Dio perché non sappiamo pregarlo come conviene. Per un cristiano, pregare non vuol dire unirsi a Gesù nella relazione con il Padre? Significa imparare a dire “Abbà”, e ciò non è possibile che per mezzo dello Spirito. E’ lo Spirito del Signore il grande iniziatore della vita di preghiera. Ecco perché è necessario desiderarlo sopra ogni cosa e lasciarlo agire in noi.

Francesco d’Assisi è pienamente consapevole che noi non siamo spontaneamente guidati dallo Spirito del Signore quali che siano le apparenze religiose e spirituali della nostra vita. Non basta dedicarsi ad una attività cosiddetta spirituale per possedere lo Spirito del Signore. Francesco pensa addirittura che si possa dare prova di sincero zelo per la preghiera, le mortificazioni, la vita missionaria, lo studio della Parola di Dio … e in tutto questo, anche inconsapevolmente essere guidati da tutt’altro che lo Spirito del Signore.

Egli perciò s’impena nelle sue Ammonizioni a consolidare i suoi frati nella verità; li aiuta a fare chiarezza in se stessi, insegna loro a discernere lo Spirito del Signore da ogni ispirazione umana e carnale. Il criterio che dà loro è semplice ed infallibile: il religioso che si turba e che si irrita per essere contraddetto o contrariato nei suoi disegni, per nobili che siano, dimostra d’essere preda d’appropriazione segreta di se stesso, di essere ripiegato su se stesso, dimostra, in breve, di ricercare se stesso. Costui intende mantenere per se stesso l’iniziativa della sua esistenza. Sotto l’apparenza virtuosa e spirituale, a sua insaputa, egli è guidato da tutt’altro che dallp Spirito del Signore. Come l’acqua intorbida dimostra di non essere pura, il turbamento e la collera dell’uomo rivelano allo stesso modo la non purezza del suo cuore. Il turbamento, l’irritazione, l’impazienza, l’aggressività tradiscono un’inclinazione possessiva fino nel profondo delle più alte aspirazioni dell’anima.

 La preghiera di un cuore puro

Come aprirsi allo Spirito del Signore? Come lasciarlo agire dentro di noi? Nella Ricerca del Santo Graal, alla fine dell’avventura, è il cavaliere dal cuore puro a raggiungere la contemplazione divina attraverso l’illuminazione dello Spirito. Per Francesco, nutrito da questa letteratura, al punto di chiamare i suoi primi frati “cavalieri della Tavola rotonda”, la ricerca dello Spirito del Signore è anch’essa un avventura che richiede innanzitutto un “cuore puro”. Ecco perché subito dopo aver esortato i suoi frati a desiderare lo Spirito del Signore sopra ogni cosa, egli li invita a “pregarlo sempre con cuore puro”. Il “cuore puro” è quello che conscio della propria povertà, si rivolge umilmente al Signore, riconosce che Egli solo è santo e in Lui trova la sua gioia, di modo che esso non torna più su se stesso. 

Il “cuore puro” è quello che conscio della propria povertà, si rivolge umilmente al Signore, riconosce che Egli solo è santo e in Lui trova la sua gioia, di modo che esso non torna più su se stesso. Egli è totalmente rivolto a Dio, non ha occhi che per lui, è abitato dalla gioia della lode. E’ veramente un cuore di povero. Esiste uno stretto legame tra il “cuore puro” e l’adorazione. “Veramente puri di cuore – dice Francesco – sono colore che … non cessano mai di adorare e vedere il Signore Dio, vivo e vero, con cure e animo puro” (Am 16, 2 : FF 165). Il “cuore puro” non si lascia separare dall’azione che lo esprime in pienezza, cioè l’adorazione.
A dire il vero. È attraverso l’adorazione che il cuore diventa puro, poiché in essa si svuota di sé, di tutto ciò che lo preoccupa, persino del pensiero della propria perfezione. Nel fare questo esso si apre allo Spirito del Signore. La purezza di cuore, secondo san Francesco, non è tanto una qualità morale, quanto piuttosto una profondità di accoglienza e di adorazione. Per il “cuore puro”, c’è Dio, lo splendore di Dio, la sua infinita santità, la sua gioia eterna e ciò è sufficiente. Questa disposizione è già l’opera dello Spirito del Signore nell’uomo.
Anche Francesco insiste, nel corso dei suoi Scritti, perché i suoi frati si volgano completamente al Signore e si dedichino con cuore puro all’adorazione:
“Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e mente pura, poiché egli stesso, ricercando questo sopra tutte le altre cose, disse: “I veri adoratori adoreranno il Padre nello Spirito e nella verità”. Tutti infatti quelli che lo adorano, bisogna che lo adorino nello spirito della verità” (“Lf 19-20 : FF 187).
Particolare significativo: Francesco dice “nello spirito della verità”, anziché riprendere l’espressione giovannea “in Spirito e verità”, suggerendo quindi che solo lo Spirito che conosce Dio nella sua verità può permetterci di adorare con cuore puro.

Ma, nella santa carità, che è Dio prego tutti i frati, sia i ministri che gli altri, che allontanato ogni impedimento e messa da parte ogni preoccupazione e ogni affanno, in qualunque modo meglio possono, si impegnino a servire, adorare e onorare il Signore Iddio, con cuore puro e con mente purea, ciò che egli stesso domanda sopra tutte le cose. E sempre costruiamo in noi una casa e una dimora permanente a lui, che è il Signore Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo” (Rnb 22, 26-27 : FF 60-61). 
Francesco non si accontentava di esortare i suoi frati all’adorazione, ma ne dava esempio per primo, interrompeva spesso i suoi giri apostolici per ritirarsi in solitudine e occuparsi unicamente di Dio. C’era in lui un bisogno di immersione in Dio.

Nell’orazione – scrive san Bonaventura – aveva imparato che la bramata presenza dello Spirito Santo si offre a quanti lo invocano con tanta maggior famigliarità quanto più lontani li trova dal frastuono dei mondani. Per questo cercava luoghi solitari, si recava nella solitudine e nelle chiese abbandonate a pregare di notte” (LegM 10,3 : FF 1179).

Le alte solitudini

Il suo itinerario spirituale è dunque costellato di luoghi appartati, talvolta selvaggi, ove fondò eremi: le Carceri, le Celle, Sant’Urbano, Poggio Bustone, Fonte Colombo, Greccio, La Verna …
Amava in modo particolare la solitudine dei monti.
Portava con sé due o tre confratelli e, giunto sulla montagna, non indugiava a contemplare il panorama spesso magnifico, ma si rifuggiava subito in una grotta. Racconta il Celano: “Nelle fenditure della roccia e nei nascondigli dei dirupi era la sua abitazione” (Ct 2,14; cfr. 1Cel 71 : FF 444).

Là egli si consegnava alla preghiera, “non di qualche minuto, o vuota, o pretenziosa, ma profondamente devota, umile e prolungata il più possibile. Se la iniziava la sera, a stento riusciva a staccarsene al mattino” (1Cel 71: FF 445), tanto che “non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (2Cel 95: FF 682). Trascorreva così lunghe settimane, talvolta mesi interi negli eremi, totalmente rivolto a Dio e consegnato al suo Spirito.

Cammino evangelico

Tuttavia, le alte solitudini non lo trattenevano all’infinito, perché lo Spirito del Signore lo riconduceva verso gli uomini, sui sentieri del vangelo. Per Francesco infatti la via della comunione con Dio era inseparabile da quella evangelica, alla squela di Cristo. Lo stesso Spirito del Signore lo conduceva sulle orme del Figlio di Dio.

Nell’intuizione del poverello c’è un legame stretto e indissolubile tra l’umile pratica evangelica e la più alta comunione mistica. E ciò che emerge chiaramente nella preghiera che innalza a Dio, per lui e per i suoi frati come conclusione nella sua Lettera a tutto l’Ordine:

“Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per forza del tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace, affinché,interiormente purificati interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito sSanto, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo e con l’aiuto della tua sola Grazia, giungere a te, o Altissimo, che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni per tutti i secoli dei secoli. Amen” (Lord 50: FF233).

Questa breve preghiera costituisce da sola una sintesi di tutta la dottrina spirituale di Francesco: sotto l’azione dello Spirito Santo che lo purifica, lo illumina e lo accende d’amore, l’uomo intraprende il suo cammino sulle orme del Figlio diletto e giunge alla comunione con il Padre. La vita di preghiera, secondo san Francesco, è questo movimento dell’anima che, animata dallo Spirito del Signore, commina con Cristo, si lascia assimilare ed unire a lui e perciò entra in comunione con la beata Trinità.

Conversione evangelica ed esperienza mistica si fondono qui l’una nell’altra, sotto l’azione dello
spirito Santo. Parlando di coloro che vivono secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche, nella pazienza, nell’umiltà, nel mutuo servizio, Francesco scrive:

“E tutti quelli e quelle che si comporteranno in questo modo, fino a quando faranno tali copse e persevereranno in esse fino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli ne farà sua abitazione e dimora. E saranno i figli del Padre celeste …” (2Lf 10, 48-40: FF 200).

Concedendoci di seguire le orme di Gesù e di scoprirlo nell’intimo, lo Spirito ci guida verso la conoscenza del Padre.

Eloi Leclerc, Francesco d’Assisi maestro di preghiera, Ed. Biblioteca Francescana, Milano, 1993.

 
E quelli che non sanno leggere, non si preoccupino d’impararare; ma facciano
attenzione che sopra ogni cosa devono desiderare di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nell’infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci accusano, poiché dice il Signore: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano; beati quelli che soffrono persecuzione a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo”.

Regola bollata, X, 8 : FF 104


In alto: Particolare del pavimento mosaicato della Cattedrale di Otranto (Lecce), databile intorno al 1165, in cui re Artù viene raffigurato a cavallo di una bestia con le corna e sembra affrontare un grande gatto. Il mosaico documenta la precoce diffusione delle leggende arturiane nell’Italia meridionale, forse portate dai crociati in partenza per l’Oriente. L’episodio della lotta con un gatto non compare in nessuna delle fonti letterarie del secolo XII che tramandano le storie di Artù, ma, curiosamente, ricorda il componimento di Guglielmo IX, Farai un vers, pos mi soneth.                         
                                     
Ad Otranto, poi, morì Ludovico di Turingia, marito di sant’Elisabetta, in procinto di partire per la Crociata. (m.s.)