Giornata per l'amicizia ebraica-cristiana

Università Lateranense
17 gennaio

Nelle Dieci Parole o Comandamenti, insieme alla salvaguardia del creato e la difesa della vita, un patrimonio comune e irrinunciabile per il dialogo tra ebrei e cristiani. Quest'anno il rabbino Di Segni e mons Paglia riflettono sul 

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Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo” (Es 20,8).
 
Ricordati e Osserva

Il 14 gennaio si è tenuta, presso l’Università Lateranense, la giornata di riflessione ebraica-cristiana. Un anticipo rispetto al consueto appuntamento del 17 gennaio, data in cui si è svolta la visita del Santo Padre al Tempio Maggiore di Roma.
E fu proprio in occasione della sua prima visita da papa ad una sinagoga, quella di Colonia, che Benedetto XVI, rilanciando l’urgenza di percorrere la via del dialogo coi fratelli ebrei, riconobbe nelle Dieci Parole o Comandamenti, insieme alla salvaguardia del creato e la difesa della vita, un patrimonio comune e irrinunciabile per il dialogo tra le due comunità e la testimonianza che entrambe le comunità, quella cristiana e quella ebraica, sono chiamate a dare nel mondo.
Da qui l’idea di dedicare la giornata annuale dell’amicizia ebraico-cristiana, all’approfondimento di una delle Dieci Parole. Un cammino temporaneamente fermatosi lo scorso anno, dimostrando sì la fragilità di un dialogo che, pur voluto da entrambi, non manca di incontrare ostacoli, ma allo stesso tempo la volontà di procedere ad un percorso comune nel pieno riconoscimento dell’identità dell’altro e nel rispetto che questa identità esige. Quest’anno si è quindi ripartiti dal terzo dei Comandamenti, il quarto secondo la numerazione ebraica : “Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo” (Es 20,8).

Mons. Vincenzo Paglia*, ha introdotto la giornata ricordando brevemente le tappe percorse finora e i presupposti in ambito cattolico al dialogo con gli ebrei. Da una parte il riconoscimento che “Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento” , non ha mai revocato la Sua Alleanza con Israele, dall’altra la consapevolezza che la rivelazione ricevuta dalla Chiesa di Cristo per mezzo del popolo dell’Alleanza “si nutre dalla radice dell’ulivo buono su cui sono innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i gentili” .
L’amore per gli ebrei da parte dei cristiani, e nello specifico dei cattolici, non è pertanto una pia opzione ma, citando il Card. Martini, un “imperativo teologico” .


Al Rav Riccardo Di Segni* il compito di condurci dentro la Parola della giornata, partendo dal significato del precetto dello Shabbat con i suoi fondamenti biblici, la sua attualità, il rito domestico e la sua celebrazione comunitaria per arrivare alle note “proibizioni” che, incomprese da parte dei cristiani sono state spesso oggetto di derisione da parte di questi ultimi, ed origine di una dura contrapposizione tra il modo in cui ebrei e cristiani osservano il comune comandamento a santificare il giorno del Signore.
Tra i canti della liturgia del sabato, nella coinvolgente interpretazione del gruppo interreligioso “Progetto Davka”, il Dr Di Segni ha riletto il quarto Comandamento, nelle due versioni, Es 20,8 e Dt 5,12, leggermente differenti nella dicitura - “Ricorda…” in Es 20,8 e “Osserva…” in Dt 5,12 – ma soprattutto nelle motivazioni: “Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo” (Es 20,11a), ma anche perché “sei stato schiavo nel paese d’Egitto e il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso” (Dt 5, 15).
Una sola Parola, due prospettive. Quella del Dio-Creatore, di fronte al quale l’uomo, pur elevato a condividerne per sei giorni l’azione creatrice attraverso il lavoro e la signoria sulla natura, il settimo giorno è chiamato a ritornare semplice creatura, a fermarsi. Da qui la proibizione nel giorno di sabato di dedicarsi ad alcune attività, quelle che in qualche modo modificano la realtà e distolgono lo sguardo dall’unico Creatore, che è il vero Signore del Sabato. La seconda prospettiva è quella del Dio-Liberatore, di fronte al quale l’uomo, israelita, straniero o schiavo, ha la stessa dignità, quella riconosciutagli dal Signore che, entrando nella storia, lo salva “con mano potente e braccio teso”. Il sabato impone quindi una relazione di uguaglianza tra le creature (persino gli animali della casa devono riposare nel giorno di sabato), uguaglianza che non può prescindere la giustizia, la solidarietà con chi in tanti luoghi e tanti modi è ancora schiavo, la cura del creato. Ecco che la santificazione del sabato per gli ebrei, oltre a realizzarsi nell’ascolto comunitario della Parola, veste anche i panni dell’accoglienza del prossimo e della sobrietà.
Perché allora Gesù in più occasioni sembra invece “attaccare” il sabato? Molti sono infatti gli episodi in cui vediamo Gesù violare il riposo del sabato. Le spiegazioni addotte fanno spesso riferimento alle Scritture, suggerendo una diversa priorità del sabato in rapporto a Dio (e al Figlio dell’Uomo), Signore del sabato, e all’uomo stesso, per il quale il sabato è stato fatto e non viceversa.
L’atteggiamento di Gesù nei confronti del sabato ebraico, decisamente provocatorio, era certamente volto a denunciare l’osservanza puramente formale della legge, che Lui certo non era venuto ad abolire ma al contrario a ribadire (Cfr. Mt 5,17). La risposta alla ben nota domanda “E’ lecito in giorno di sabato salvare una vita o perderla?” (Lc 6,9), è infatti così scontata da essere già presente nell’interpretazione ebraica del precetto.
Tale atteggiamento tuttavia, se da una parte è stato motivo di scandalo per gli ebrei del tempo, dall’altra è stato per lungo tempo usato dai cristiani come alibi per giustificare, nella totale ignoranza del significato profondamente spirituale dello Shabbat nella relazione tra Dio e il Suo Popolo, la riduzione a mero formalismo del precetto in sé, tanto più che, con la Risurrezione di Gesù, un altro giorno era stato assunto a giorno del Signore, il primo dopo il sabato, quasi ad oscurare se non cancellare sostituendolo, il settimo giorno.
Ma ancora una volta, l’ascolto attento della Parola rivela che non c’è contraddizione né competizione tra il Sabato e la Domenica. Rav Di Segni, citando Es 31,17 - “Esso (il sabato) è segno perenne fra me (Dio) e gli Israeliti” – sottolinea come l’osservanza del sabato sia irrinunciabile per un israelita, ma non vincolante per un non-israelita. Alcuni passi dello stesso NT testimoniano come le prime comunità cristiane, costituite principalmente da ebrei, celebrassero il sabato come previsto dalla legge, e solo quando il cristianesimo ha cominciato a diffondersi tra i gentili, la celebrazione del sabato è stata in parte abbandonata.


In parte, perché non va dimenticato che l’ascolto della Parola e la benedizione della mensa, pur assumendo quest’ultima un altro significato per i cristiani, trovano le loro radici proprio nella liturgia, rispettivamente comunitaria e domestica, dello Shabbat. La benedizione del vino è infatti l’atto con cui il capofamiglia accoglie il sabato, nel vespro del venerdì, davanti alla mensa sulla quale la sposa avrà acceso delle lampade, almeno due, a simboleggiare i due eventi di una sola Parola: la Creazione e la Liberazione, “Ricorda” e “Osserva”. Il sabato, tutti i fedeli si ritroveranno in sinagoga per ascoltare la lettura della Torah (il nostro Pentateuco).
E le proibizioni? Come rapportarci al riposo categorico previsto dall’osservanza del sabato in onore del Signore? Ci viene in aiuto Mons. Paglia, ricordando che la domenica, giorno in onore del Signore per i cristiani, non è il settimo giorno, ma il primo; giorno che richiama l’operosità della creazione. Giorno della risurrezione che inaugura l’avvento del Regno cui noi cristiani, nutriti alla mensa della Parola e dell’Eucarestia, siamo chiamati a collaborare con l’annuncio del Vangelo e con opere di giustizia.
Rosa Antonucci

*Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI.

** Rav Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma.


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