Il giovane Paolo VI

I Montini, che moderni

In Libreria la corrispondenza di Giovanni B. Montini con il padre.
dai primi anni romani  nei quali si avvicina alla Fraternità 
dei terziari francescani dell'Aracoeli
a quelli di sostituto della Segreteria di Stato Vaticana.
Eletto Papa, diverrà quel Paolo VI 
che nel 1977 firma la Regola che configura il volto all'attuale OFS

L’epistolario di un pontefice costituisce di per sé un evento editoriale. A maggior ragione lo è quest’ultima pubblicazione dell’Istituto Paolo VI di Brescia, Giorgio Montini – Giovanni Battista Montini, Affetti familiari spiritualità e politica, Carteggio 1900-1942, a cura di Luciano Pazzaglia (Studium, pagine 684, euro 50), con centinaia di lettere inedite del padre e alcune dello stesso figlio. Un evento per vari motivi: il primo, perché permette di ricostruire gli anni di formazione di Montini nella Brescia del primo Novecento, dove il padre era tra i protagonisti del movimento cattolico , con la direzione de «Il Cittadino» e l’elezione a deputato nelle file del partito di Sturzo. Il secondo, perché questi anni mostrano l’origine e il consolidarsi della vocazione sacerdotale del giovane Giovanni Battista. Il terzo: in controluce si può leggere uno dei modi con i quali il cattolicesimo ha vissuto la crisi del primo dopoguerra, l’opposizione al fascismo, il Concordato, gli anni del regime e l’inizio della sua crisi. 


Partiamo da qui: se per lo più si riteneva decisivo il ruolo di Jacques Maritain per la maturazione delle convinzioni democratiche di Montini, in realtà – scrive Pazzaglia nella sua ampia Introduzione – queste lettere mostrano come «a favorire l’approdo di Montini alla concezione democratica sono state, prima ancora che il pensiero di Maritain, le varie esperienze che venne facendo tra il 1923 e il 1943, dalla guida della Fuci, che egli dovette pilotare tra le ostilità dei fascisti e le diffidenze degli ambienti ecclesiastici più chiusi, alla messa a punto del Movimento dei Laureati Cattolici […] Fino alla responsabilità che venne assolvendo quale sostituto della Segreteria di Stato».

Il fitto dialogo con il padre mostra il passaggio di Montini dall’elitismo proprio di un certo intransigentismo al riconoscimento della funzione del partito cattolico nella vita di una futura democrazia. Le lettere permettono di seguire passo per passo le varie fasi della vita sacerdotale di Montini: la spiritualità segnata dall’esperienza dei Padri della Pace di Brescia – e in particolar modo i filippini Paolo Caresana e Giulio Bevilacqua –, il trasferimento a Roma, i dubbi e le inquietudini di fronte al Concordato Stato-Chiesa del 1929, rispetto alla valutazione pragmaticamente positiva del padre, le riflessioni su come guidare i giovani Fucini, quale cultura promuovere per e con loro, in anni dove l’opposizione al fascismo significava anche pensare alla formazione di una classe dirigente in grado di traghettare l’Italia fuori dalla dittatura.

Ma è soprattutto l’intreccio tra legami familiari e formazione culturale a emergere in queste pagine: l’affetto per la madre e i fratelli, sempre evocati direttamente o indirettamente nelle lettere, la funzione attiva del padre negli impegni editoriali del figlio, al punto da prendersi cura in prima persona della correzione delle bozze della traduzione dei Tre Riformatori di Maritain per i tipi della Morcelliana. Il dialogo con il genitore – e con l’intera famiglia – è l’occasione per Montini di riflettere su di sé, quasi che il genere epistolare fosse il tramite di un’indiretta guida spirituale.

Una forma di direzione spirituale che, a partire dagli anni Trenta, cambia senso: da Roma è il figlio a offrire indicazioni spirituali, ma anche valutazioni politiche, al padre e ai suoi cari. L’epistolario è quindi uno spaccato della vita religiosa, culturale e politica della prima metà del Novecento: nella biografia del giovane sacerdote (nella quale non mancano inflessioni gianseniste), dell’assistente della Fuci e dell’addetto della Segreteria di Stato si può sorprendere la complessità del confronto del cattolicesimo con la modernità. Negli «anni di apprendistato» di Montini il cattolicesimo passò da un rifiuto del Moderno a un sofferto confronto indotto dall’esperienza del totalitarismo, per poi giungere a un suo più sereno riconoscimento.

Con la consapevolezza che la modernità è sì l’orizzonte nel quale il cattolico agisce, ma non ne rappresenta il criterio di orientamento. Questo libro ha, per così dire, una duplice funzione: traccia i lineamenti, in actu exercito, per un nuovo capitolo di una futura biografia di Giovanni Battista Montini (e in questo si affianca ai pionieristici lavori di Massimo Marcocchi, con la sua curatela degli Scritti fucini, e di Nello Vian) e mostra persuasivamente come il cattolicesimo si sia declinato in più modi nel Novecento, anche negli stessi protagonisti.
(Avvenire, 3 febbraio 2010)