sr. Chiara C. Mondonico - Camilla Battista per gli uomini e le donne di oggi - una lettura "da clarissa"


Sabato 5 dicembre 2009, presso il Monastero Clarisse di Santa Lucia in Foligno – dopo un Concerto dei “Cantori di Assisi” diretti da p. Maurizio Verde, ofm – si è tenuta la presentazione del libro:  M. BARTOLI; A. CACCIOTTI, D. COGONI, J. DALARUN , A. DEJURE, P. MARANESI, P. MARTINELLI, P. MESSA, R. MICHETTI, A.E. SCANDELLA, P. SELLA, C.L. SERBOLI, Dal timore all’amore. L’itinerario spirituale della beata Camilla Battista da Varano. Atti del Centenario della nascita (1458-2008), a cura del Monastero Santa Chiara di Camerino Edizioni Porziuncola, Assisi 2009.
L’evento, presieduto da p. Pietro Messa, è stato organizzato dal Monastero Santa Lucia di Foligno in collaborazione con Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum di Roma. P. Pietro ci ha inviato questi due contributi:

Qui di seguito è riportato l’intervento di sr. Chiara Cristiana Mondonico, del Monastero della SS. Trinità in San Girolamo di Gubbio.

Nel mio contributo alla presentazione di questo testo – che già dal titolo indica la profondità di vita che vi è contenuta: “Dal timore all'amore” – vorrei partire da una domanda che, come mi è stato riferito da madre Angela Emmanuela, è stata rivolta a lei dopo il suo intervento al Convegno sulla beata Camilla Battista da Varano che si è tenuto a Camerino il 7 novembre scorso: 


“Si sta per canonizzare la beata Camilla Battista: quali aspetti della sua spiritualità, della sua santità possono essere oggi luce, oggetto di annuncio, di 'evangelo' per gli uomini e le donne di oggi?”

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Davvero l'ormai prossima canonizzazione della nostra Beata ci chiede di rileggere la sua vita e i suoi scritti con uno sguardo ancora più attento e profondo. Sappiamo infatti che per la Chiesa la santità si identifica con l'amore: un amore che risplende e si comprende in modo particolare, che preferisce Dio e gli uomini a se stesso, che cioè vive per la comunità della Chiesa. “La carità non cerca il proprio interesse” , dice Paolo. Una santità che cercasse se stessa, che cioè prendesse se stessa come meta ultima, sarebbe una contraddizione in termini. Poi non spetta al singolo membro della Chiesa decidere il modo in cui donarsi a tutta la comunità; lo spirito di carità, che costituisce la santità, è anche lo stesso spirito che distribuisce gli uffici e i carismi. “La manifestazione dello Spirito è data a ciascuno per l'utilità comune” . Di conseguenza la santità è qualcosa che riguarda tutta la Chiesa e la vita di tutti, per questo sfugge all'arbitrio della singola persona chiamata. Su ogni cristiano Dio ha un'idea particolare e assegna a ognuno un posto preciso nella comunità ecclesiale.

Leggendo questo testo – per me che non conosco la beata Camilla Battista da Varano da esperta ma da clarissa, cioè con lo sguardo di chi cerca di comprendere il segreto di una vita che è anche la propria vita – ho avuto la gioia di accorgermi che tutti i contributi si spiegavano e arricchivano e chiarivano a vicenda. E letti insieme lasciavano emergere la figura di una donna bellissima, figlia del suo tempo ma di una attualità straordinaria, di una tale profondità di incontro con Dio che se lascia attoniti e stupiti come l'esperienza di tutti i mistici, non è però lontana da noi. E se è vero che – come dice Pietro Maranesi nel suo articolo – nell'Autobiografia Camilla non parla mai del concreto della sua vita, degli avvenimenti che accadevano, forse in questo per una modalità di comunicazione che era propria del suo tempo, il dramma del suo rapporto con Dio, “infelicissima felicità”, non sembra affatto distante dalla sua storia, che sappiamo intessuta di relazioni ricchissime, di giorni di concreto e grande dolore.
Come pensando a santa Chiara non possiamo mai isolare l'altezza del suo rapporto con Cristo quale emerge nelle quattro lettere ad Agnese dalla vicenda storica che nei decenni travagliò la vita sua e della sua prima comunità, dai suoi rapporti con la Chiesa del suo tempo, con l'ordine dei frati Minori in difficile evoluzione dopo la morte di Francesco, con la presa di coscienza del carisma stesso che la comunità dovette vivere non magicamente ma in inevitabili fasi di discernimento, correzione, tensione. Allo stesso modo non possiamo comprendere in nessuna maniera l'immedesimarsi profondo di Camilla Battista da Varano con la persona di Cristo sofferente, con i “dolori mentali” di Gesù nella sua passione, senza leggervi come in filigrana i passaggi della storia, come ci aiutano a fare gli interventi interessantissimi in questo testo di madre Angela Emmanuela Scandella, di Pacifico Sella, di Marco Bartoli. E forse la chiave di lettura per comprendere questo rapporto tra storia e vita spirituale, tra eventi quotidiani e vita mistica, è la centralità che per la beata Battista, come per Chiara, ebbe il sacramento dell'Eucaristia.
Nell'Eucaristia, e nella liturgia eucaristica questo è particolarmente chiaro, la Verità si fa carne, perché la si possa incontrare. È grande il desiderio di verità nel nostro cuore, di fronte a tutto ciò che ci succede, di buono o di cattivo, di lieto e di doloroso: noi abbiamo bisogno di qualcuno che di ciò che accade ci riveli la chiave, la spiegazione. Ma nell'Eucaristia ecco ciò che diventa evidente: la verità degli eventi non si risolve in una spiegazione, non ci basta per essi una spiegazione. La verità di ogni cosa è la presenza di Dio che ci accompagna, per cui non siamo più soli davanti alla vita. Così Egli ha voluto: rendersi sensibile alla nostra vita, essere carne, e la verità non è più un'idea, ma una sapienza, un sapore.
Così don Daniele Cogoni nel suo contributo evidenzia il fatto interessante e che sfugge ad una lettura superficiale degli scritti: “Quel processo spirituale, di desiderio e di amore, che nella vita della Beata lascia trasparire questa unificazione del suo cuore al cuore di Cristo, [è] un processo che mi piace distinguere in sette momenti progressivi che sono individuabili nel contesto di un cammino unitario che parte dall'Eucaristia per poi ritornare ancora ad essa. Questo è particolarmente evidente nella forma della struttura letteraria con cui la Beata articola il racconto della sua vita spirituale, ossia la sua Autobiografia. Infatti, seppur in essa si alternano vicende spirituali dislocate lungo un periodo di vita di 33 anni, la loro narrazione è collocata all'interno di un'inclusione tematica di carattere eucaristico che si apre al capitolo I, in cui si parla del ricevimento della “Comunione sacramentale” e si chiude al capitolo XVII, in cui si parla del Pane degli Angeli, dell'appetito verso di esso, della comunione domenicale e del desiderio di comunicarsi tutti i giorni” .

Questo credo sia il centro di ogni santità, che una persona sia inserita con tutta se stessa in una vicenda storica con tutte le sue caratteristiche di complessità, difficoltà, a volte vere e proprie tragedie (come fu quella della famiglia di Camilla), e viva tutto ciò che accade come manifestazione della presenza di Cristo, del suo mistero di morte e risurrezione, che viva quindi il suo stesso amore che dona la vita per coloro che ama.

Da questo centro vorrei muovermi per sottolineare ancora due aspetti che mi sono sembrati significativi: il primo che rende la vita e la spiritualità della nostra Beata particolarmente esemplare per l'uomo di oggi, il secondo che parla soprattutto alla vita e alla vocazione di noi sorelle povere di santa Chiara sparse ancora nel mondo in questo nostro tempo.

La beata Camilla Battista da Varano è veramente una maestra di umanità e di fede per il mondo di oggi. Se pensiamo a quanto ella abbia respirato la cultura del suo tempo, segnato da un vero culto della libertà individuale e del benessere, dal divertimento come regola di vita, da un certo rifiuto di ogni regola morale, assume un grande peso il suo cammino di conversione, la sua vita segnata e completamente trasfigurata dall'incontro con il Crocifisso.
Dai contributi di questo testo, come già dal titolo, emergono le tensioni apparentemente e realmente inconciliabili che caratterizzarono la vita di questa donna, sia nel primo periodo della conversione, che la porterà fino all'ingresso nel monastero di Urbino, sia nel tempo della vita in monastero. Due periodi di vita diversissimi, ma entrambi segnati da una tensione indicibile: prima una tensione tra il desiderio del mondo e il desiderio di Dio, tra la sua grande autonomia, i suoi ostinati “no” e il fermissimo volere un rapporto con Dio, tensione che si risolve nell'abbandono finalmente all'amore, nello sciogliersi di un abbraccio, nel passaggio dal timore all'amore.
E difficoltà – nel secondo periodo – ad esprimere qualcosa di questo rapporto, tanto era grande e tanti gli opposti sentimenti che in esso nascevano. L'unica via sarà infatti quella di usare spesso termini apparentemente contrastanti con i quali Battista cerca di balbettare qualcosa della sua indicibile esperienza di Dio: “Mi pare di poterla chiamare infelicissima felicità, perché per i miei peccati, infedeltà e ingratitudine, la felicità mi si è cambiata in tanto fiele, veleno e amarezza” .

E qui è per l'uomo d'oggi “luce” ed “evangelo”, l'uomo che si dibatte tra grandi tensioni e finisce così spesso per superarle annullandone uno dei due termini, fuggendo dal dolore, esorcizzando la morte, rifugiandosi in paradisi artificiali di cui il mondo fornisce dosi sempre più grandi e sofisticate, apparentemente buone e per questo più subdole e pericolose: in queste tensioni inconciliabili Camilla si stringe all'unico mediatore, Cristo e Cristo crocifisso. Per questo Egli diventa il centro della sua vita e tutto il suo vivere è abbracciare questo mistero. In fondo la parabola di Camilla Battista da Varano non è che la dottrina cristiana della redenzione, che si ripropone a noi però, a questo nostro mondo, con accenti di freschezza e di novità per i quali ci è veramente proponibile la sua avventura di santità. L'esperienza dell'amore infatti come si mostra nei suoi scritti non consiste innanzitutto nella trasformazione del suo cuore, ma nella percezione che c'è un “prima”, un cuore ferito d'amore che è quello di Gesù, e in questo cuore Camilla legge il sigillo della sua vita, l'amore di Cristo per lei, il suo nome scritto a lettere di fuoco: “Io ti amo Camilla”. C'è una passione di Dio per lei così gratuita che la lascia stupita, assolutamente indegna di una intimità così grande. È come un mare, immagine a lei sempre cara: un mare dove la gioia di un santo, cioè di chi comprende quanto e fino a che punto è amato ogni uomo, si manifesta inevitabilmente con sentimenti di amarezza e smarrimento, veleno addirittura, per la propria lontananza prima di tutto, e perché innumerevoli sono i figli che si perdono, che vivono così lontani da questo amore. Il cuore di un santo percepisce tutto il dolore di Colui che tanto ha amato ed ama. Certamente questo entrare nei dolori “mentali” del Signore è il mistero che più rende attuale la spiritualità della beata Camilla Battista da Varano, e che la porterà a condividere questo dolore dell'amore fino a sperimentare la terribile assenza e lontananza dello Sposo. Come essere più vicini, come essere portatori di speranza alla sofferenza del nostro mondo che toccando quel punto estremo del dramma, che Gesù stesso ha toccato nella sua vita per amore dell'uomo, la discesa agli inferi, il grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Quella santità per cui – dice Balthasar – “l'eterna distanza di amore che pur eternamente si chiude nell'abbraccio di entrambi nello Spirito ha potuto dilatarsi come la distanza tra cielo e terra, sul fondo della quale il Figlio geme dicendo 'Ho sete'. […] Tu gridi nel vuoto: 'Padre!'. Si sente solo l'eco. Il Padre non ha sentito. Tu sei sprofondato troppo in giù, come potrebbero ancora sentirti lassù nel cielo? Padre, sono tuo Figlio, il tuo Diletto, il Figlio che ti è nato prima di ogni tempo! Ma il Padre non ti conosce più. Tu sei divorato dalla lebbra di tutta la creazione, come potrebbe ancora riconoscere il tuo volto” . Così tutto ciò che è affaticato e pesante – e così tanto è affaticato e pesante – può essere immerso anche oggi nell'acqua che purifica e salva, la misericordia. Così ogni depressione e disperazione vengono versate nel Cuore che solo le accoglie.

L'altra luce a cui vorrei dare risalto riguarda la nostra vita di sorelle povere oggi, a cui mi pare la santità di Camilla Battista da Varano regali uno slancio nuovo e che val la pena di valorizzare, perché se la nostra vita è una sfida grande per il mondo odierno lo è prima di tutto per noi stesse e per le nostre comunità. Metterei un primo accento sull'idea della vita spirituale, fino ai più alti vertici della mistica, come cammino. Cammino di una creatura, di una ragazza prima e poi di una donna del suo tempo, che conosce i tempi e le svolte difficili della maturazione prima di tutto umana, e che parte – come per Francesco e Chiara – da un grande capovolgimento di valori: ciò che per la natura umana era amaro viene cambiato in dolcezza, da uno sguardo nuovo e sapiente su tutta la realtà. Voglio dire che guardando l'esperienza di Camilla è chiaro che un cammino spirituale è in se stesso un cammino umano, in cui la libertà umana prima debole e prigioniera si fortifica, fiorisce fino ad un compimento all'inizio impensabile, l'unione con quell'abbandono di Cristo, con quell'obbedienza al Padre nel buio e nella solitudine, che ha salvato tutti gli uomini. Sia Marco Bartoli che soprattutto Pietro Maranesi descrivono questo itinerario. Allo stesso modo il lavoro di madre Angela Emmanuela Scandella presentato all'ultimo convegno a Camerino ha approfondito le linee per una biografia spirituale della Beata svolgendo questa idea della vita spirituale come itinerario di vita.

Proprio da questo contributo traggo un altro aspetto che già si legge sullo sfondo del testo che stiamo presentando oggi, ma che può essere ulteriormente studiato: abbiamo detto che in Camilla Battista da Varano tutto nasce dall'incontro con Cristo. Anche per lei, come per altre figure di donne che popolano i monasteri dell'Osservanza tra Quattro e Cinquecento, la persona del Signore Gesù nel suo mistero pasquale occupa tutto l'orizzonte della vita, della preghiera, ne attira tutti gli affetti e tutte le forze. Ma vi è una modalità che è tipicamente “clariana” nell'abbraccio a questo mistero, ed è la figura della Vergine Maria. Maria viene poco nominata e non viene mai chiamata “madre” da Camilla, e questo perché in realtà probabilmente è per lei più che presente e più che madre: è la forma stessa della sua vocazione, è la persona con cui ella si identifica prima ancora che affidarvisi. Come sta Maria davanti al Figlio suo, crocifisso, abbandonato e obbediente? Così noi siamo chiamate a stare davanti al mistero, davanti alla vita. E in questo Camilla Battista è profondamente figlia di santa Chiara: quando Francesco la riconobbe insieme alle sue sorelle come colei che aveva compreso il senso dell'avvenimento che aveva cambiato la sua stessa vita, l'ordine capovolto delle cose nel mistero pasquale di Cristo, la perfetta letizia nella bassezza, nella sofferenza, nell'umiliazione e nel rifiuto umano, quando riconobbe questo in loro Francesco riconobbe insieme la modalità mariana del loro vivere il mistero di Cristo povero e crocifisso e consegnò loro la forma vivendi che ricalcava per loro le orme della Madre di Gesù .

Concludo con questa immagine mariana che rende la beata Camilla Battista da Varano figlia sì del suo tempo ma profondamente e integralmente figlia di santa Chiara. Non sarà certamente di poco interesse soprattutto per noi clarisse lasciarci raggiungere dalla luce di questa donna, per tanti aspetti così vicina alla nostra mentalità, nel comprendere il nostro essere figlie di santa Chiara in questo nostro tempo, nella Chiesa e nel mondo di oggi.
sr. Chiara Cristiana Mondonico, osc
5 dicembre 2009