5^ dom. T.O. (Mc1,29-39)
Gesù compie
miracoli, scaccia i demoni, annunzia il vangelo, prega. Tutto questo vuol dire
che in lui è apparso il Regno di Dio, è donata la grazia, irrompe il nuovo
mondo, redento dal peccato.
Il Vangelo di
oggi ci offre il resoconto fedele di una giornata-tipo di Gesù di Nazareth.
Uscito dalla sinagoga, Gesù si recò dapprima nella casa di Pietro, dove guarì
la suocera che era a letto con la febbre; venuta la sera, gli portarono tutti i
malati ed egli ne guarì molti; al mattino si alzò quando era ancora buio e si
ritirò in un luogo solitario a pregare; quindi partì per andare a predicare il
regno in altri villaggi.
Da questo
resoconto deduciamo che la giornata di Gesù consisteva in un intreccio tra
malati, preghiera e predicazione. Dedichiamo la nostra riflessione all’amore di
Gesù per la cura dei malati, anche perché in questi giorni, nella memoria della
Madonna di Lourdes dell’11 febbraio, si celebra la Giornata mondiale
dell’ammalato.
Le trasformazioni
sociali, la scienza medica hanno molto cambiato la figura dell’ammalato
dandogli una speranza di guarigione. Ma la malattia, come la morte, non è
ancora, e non sarà mai, del tutto debellata. La fede cristiana può alleviare
questa condizione e dare anche ad essa un senso e un valore.
Prima di Cristo
la malattia era considerata come strettamente connessa al peccato. Con Gesù
qualcosa è cambiato. Egli “ha preso le
nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt. 8,17). Sulla
croce ha dato un senso nuovo al dolore umano, compresa la malattia: non più di
punizione, ma di redenzione. La malattia unisce a lui, santifica, affina
l’anima, prepara il giorno in cui Dio asciugherà ogni lacrima e non ci sarà più
né malattia né pianto né dolore (Apocalisse, 21,4).
Il malato, però,
ha bisogno certamente di cura, di competenza medica, ma soprattutto di
speranza. La speranza è la migliore “tenda d’ossigeno” per un malato. Non
bisogna lasciare l’ammalato nella sua solitudine. Una delle opere di
misericordia è visitare i malati.
Quasi tutti i
malati del Vangelo sono guariti perché qualcuno li ha presentati a Gesù e lo ha
pregato per essi. La preghiera più semplice, che tutti possiamo fare nostra, è
quella che le sorelle Marta e Maria rivolsero a Gesù, in occasione della
malattia del loro fratello Lazzaro: “Signore,
colui che tu ami è malato!”.
6^ dom. T.O. (Mc. 1,40-45)
Gesù guarisce un
lebbroso: allora è segno che incomincia con lui il regno di Dio, il tempo
messianico, in cui l’uomo è guarito nel corpo certamente, ma in vista di un
rinnovamento totale.
Sul fenomeno
della lebbra le letture di questa domenica ci permettono di conoscere
l’atteggiamento prima della legge mosaica e poi del Vangelo di Cristo. Nella prima
lettura, tratta dal Levitico, si dice che la persona sospettata di lebbra deve
essere condotta dal sacerdote il quale, accertata la cosa, “dichiarerà
quell’uomo immondo”. Così il povero lebbroso, scacciato dalla comunità, deve
lui stesso tenere lontano le persone avvertendole del pericolo. L’unica
preoccupazione della società è proteggere se stessa.
Nel Vangelo Gesù
incontra un lebbroso, il quale gli chiede di guarirlo e Gesù gli tende la mano,
lo tocca e pronuncia: “Lo voglio,
guarisci”. E’ una frase semplice, come semplice è la richiesta del
lebbroso: “Se vuoi, puoi”, che così manifesta la sua fede nella potenza di
Cristo. E Gesù dimostra di poter fare, facendolo.
Una domanda
dovremmo porci tutti: io a quale dei due atteggiamenti mi ispiro? Contribuire
ad alleviare le sofferenze altrui, specie se fatto dovendo vincere se stessi,
segna l’inizio di una vera conversione. Il caso più celebre è quello di
Francesco d’Assisi che fa risalire all’incontro con un lebbroso l’inizio della
sua nuova vita.
7^ dom. T.O.
(Mc. 2, 1-12)
Suscitano
scandalo le parole di Gesù al paralitico: “Ti
sono rimessi i tuoi peccati”. Ma Gesù è il Figlio di Dio, e quindi gli
appartiene la remissione dei peccati. Il miracolo sul paralitico che si alza e
si mette a camminare ne è la conferma.
Gesù era in casa,
a Cafarnao, tanta era la gente che non si poteva passare per la porta. Un
gruppetto di persone che aveva un parente paralitico pensò di aggirare
l’ostacolo e scoperchiando il tetto e calò il malato, per i lembi di un
lenzuolo, davanti a Gesù. Vista la loro fede, Gesù disse: “Figliuolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” e “Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di
rimettere i peccati, alzati,prendi il tuo lettuccio e và a casa tua”.
Questo miracolo
di Gesù ha un’importanza prima di tutto teologica. Rivela che Gesù aveva la
convinzione di poter rimettere i peccati, cosa che solo Dio può fare.
Ma cerchiamo di
cogliere anche l’aspetto della vicenda. L’uomo che viene presentato a Gesù è
afflitto da due tipi di male: uno di natura fisica e l’altro di natura
spirituale. Gli amici e, forse, lui si preoccupano del male fisico, ignorando
quello spirituale. Gesù fa il contrario: prima perdona i suoi peccati e poi gli
ordina di alzarsi e camminare.
In questo senso
l’episodio è un simbolo potente di ciò che avviene nel mondo. In ogni epoca e
in ogni persona, l’uomo è afflitto da due generi di male, uno di ordine
materiale, l’altro morale; noi ci preoccupiamo del primo, quasi mai del
secondo.
In questo momento
il male di cui ci si preoccupa a livello mondiale è la recessione economica, il
tracollo delle borse, quello che succede nella finanza mondiale. Sono mali
reali e non dobbiamo essere indifferenti di fronte ad essi. Ma il Vangelo ci
dice che non sono gli unici mali; ce n’è un altro nascosto che spesso è la
causa di quelli palesi: il peccato.
Il mondo scherza
con l’idea di peccato, ma cos’è che crea le masse di disoccupati o di affamati
se non la “insaziabile sete del denaro” da parte di alcuni che san Paolo
definisce “la causa di tutti i mali”
(1 Timoteo 6, 10)?
L’élite economica
e finanziaria mondiale somigliano spesso a una locomotiva impazzita che avanza
a corsa sfrenata, senza darsi pensiero del treno, rimasto fermo, a distanza,
sui binari.
Convertirsi è un
procedere verso un cambiamento e, quindi, guardare verso un orizzonte nuovo,
abbandonando tutto ciò che era indietro.
Per noi che
abbiamo conosciuto Cristo e aderito per secoli alla fede, forse risulterà
strano, ma se desideriamo essere autenticamente conversi, dobbiamo guardare
indietro e renderci conto del peccato.
Solo dopo che il
paralitico ha preso coscienza del suo vero male, Gesù può dirgli anche la
parola che si aspettava: “Alzati e
cammina”. Così avverrà sempre, per chi crede: ogni guarigione, senza quella
dal peccato, è un palliativo.
QUARESIMA
1^ domenica
(Mc. 1, 12-15)
Anche Gesù prova
la tentazione di Satana, ma non vi soccombe.
Nel deserto
rimane vittima della seduzione l’antico Israele, infedele a Dio.
Il racconto delle
tentazioni nel Vangelo di Marco è quanto mai stringato: “Subito dopo lo Spirito lo spinse nel deserto e vi rimase quaranta
giorni tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano”.
Non dice nulla del contenuto e del tenore delle tentazioni. Per questo dobbiamo
ricorrere a Matteo e Luca. Entrambi ci parlano
di tre tentazioni: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi
diventino pane /… gettati giù /… tutte queste cose io ti darò, se,
prostrandoti, mi adorerai”.
Comune a tutti e
tre i sinottici è la conclusione: superate le tentazioni, gli angeli – e
secondo Marco le fiere- lo servivano, come prima che Adamo ed Eva cedessero
alla tentazione.
Qual è lo scopo
delle tre tentazioni?
Esso è unico e
comune a tutte: distogliere Gesù dalla missione, distrarlo dallo scopo per cui
è venuto in terra: sostituire al piano del Padre, un piano diverso.
Nel battesimo il
Padre aveva additato a Cristo, la via del Servo obbediente che salva con
l’umiltà e la sofferenza; satana gli propone una via di gloria e di trionfo, la
via che tutti allora si aspettava dal Messia.
Anche oggi tutto
lo sforzo del demonio è di distogliere l’uomo dallo scopo per cui è al mondo:
conoscere, amare e servire Dio in questa vita per goderlo poi nell’altra.
Satana ci vorrebbe tutti spensierati e goderecci, simili al piccolo leone del
film di Walt Disney “Il Re leone”. Il cucciolo si perde e finisce tra animali
meno nobili di lui, dimentica che è destinato a regnare e canta Akuna matata
(in lingua swahili “senza pensieri”).
Satana però è
anche astuto; non compare di persona, ma riserve delle cose buone, portandole
all’eccesso, assolutizzandole e facendone degli idoli. Il denaro è una cosa
buona, come lo sono il piacere, il mangiare … ma se essi diventano la cosa più
importante della vita, il fine, non più dei mezzi, allora diventa distruttivi
per l’anima e spesso anche per il corpo.
Un esempio
particolarmente attinente al tema è il divertimento, il distrarsi. Il gioco è
una dimensione nobile dell’essere umano. Dio stesso ha comandato il riposo. Il
male è fare del gioco lo scopo della vita, vivere la settimana come attesa del sabato
notte o della partita allo
stadio della
domenica, per non parlare di altri passatempo meno innocenti. In questo caso il
divertimento non serve
alla crescita
umana e alleviare lo stress e la fatica, li accresce. Gli effetti negativi si
fanno sentire sul proprio fisico o sulla famiglia, per non parlare poi dello
spirito. L’inno liturgico della Quaresima ci esorta a usare più parcamente, in
questo tempo, “parole, cibi, bevande, divertimento e sonno”.
Parlando di
divertimento però non ignoro che per tanta gente esso è una parola sconosciuta
e la vita è solo fatica e affanno. A loro vorrei ricordare che lo svago non si
misura dal tempo e dai soldi spesi per esso, ma dalla gioia e dal sollievo che
reca. Un canto francescano dice: “E le gioie semplici sono le più belle, sono
quelle che alla fine sono le più grandi”.
Adelaide
Rossi, ofs