Il Signore della vita




 

Un giorno una famiglia fu colpita da un gravissimo lutto. La bambina di pochi mesi si ammalò di un tumore che la portò alla morte. Il fratellino di qualche anno di vita, dopo qualche giorno dal funerale, chiese a sua madre: “Mamma, ma quando torna a casa Lucia?”.
Una donna vegliava il marito morto improvvisamente, con cui aveva trascorso più di quarant’anni insieme … urlava disperata: ”Mi avevi promesso che non mi avresti mai lasciato… dove sei ora?“
La risposta a questa domanda, una delle più radicali che l’uomo possa compiere, noi non potremmo mai darla se Cristo non fosse risorto, se questo non fosse mai successo, e se a questo avvenimento non credessimo dal più profondo del cuore, in altre parole se non credessimo alla Pasqua che stiamo per celebrare.

Effettivamente per cogliere le potenzialità contenute in questa definizione della Pasqua, occorre aver preso atto una volta, lucida-mente, della transitorietà della vita. Un filosofo antico, Eraclito, ha espresso questa fondamentale esperienza con una frase rimasta celebre: “panta rei“, cioè: tutto scorre.
Succede nella vita come sullo schermo televisivo: i programmi si susseguono rapidamente e ognuno cancella il precedente. Lo schermo resta lo stesso, ma le immagini che vi passano sopra cambiano.
Così è di noi: il mondo rimane, ma noi ce ne andiamo una generazione dopo l’altra. Di tutti i nomi, i volti, le notizie che riempiono i giornali e i telegiornali di oggi, - di me, di te, di tutti noi - cosa resterà da qui a qualche anno o decennio?
Nulla di nulla. L’uomo non è che “un disegno creato dall’onda sulla spiag-gia del mare che l’onda successiva cancella”.

Nel tentativo di non passare e di non morire del tutto, ci aggrappiamo chi alla giovinezza, chi all’ amore, chi alla prole e chi alla fama. “Non morirò del tutto, esclamava il poeta Orazio, ho eretto (con le mie poesie) un monumento più duraturo del bronzo”.
Sì, ma a che serve ormai a lui questo “monumento”? Serve a noi, ma non a lui. “L’uomo non è che un soffio, i suoi giorni come ombra che passa”, ripete la Bibbia e credo che almeno su questo punto tutti siamo pronti a darle ragione.

Al momento stesso della nascita inizia per ognuno un conteggio alla rovescia che non si arresta un solo istante, né di giorno né di notte.
In taluni conventi c’erano una volta dei grandi orologi a pendolo su cui era scritto, come per ammonizione: “Vulnerant omnes, ultima necat, che tradotto si legge così:
“Tutte (s’intende, le ore) feriscono, l’ultima uccide”.
Di fronte a questa esperienza che tutto passa, si possono assumere diversi atteggiamenti.
Uno, molto antico e ricordato nella
stessa Bibbia, è quello di chi dice: “Mangiamo e beviamo, tanto domani moriremo” (Is 22,13). Parlando dei giorni che precedettero il diluvio, Gesù dice: “Mangiavano e
bevevano, prendevano moglie e marito... e non si accorsero di nulla, finché venne il diluvio e li inghiottì tutti” (cfr. Mt 24,38).

 
L’altro è quello di credere alla resurrezione di Cristo: “Il mondo passa, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Gv 2, 17).
C’è dunque qualcuno che non passa, Dio, e c’è un modo per non passare del tutto neanche noi: fare la volon-tà di Dio, cioè credere, aderire a Dio.
Qualcuno si domanda: ma che faremo “in cielo” con Cristo per tutta l’eternità, visto che è lì che siamo destinati ad andare?
Non ci annoieremo?
Si potrebbe rispondere: ci si annoia forse a stare bene e in ottima salute? Chiedete a degli innamorati se si annoiano a stare insieme. Quando ci capita di vivere un momento di intensissima e pura gioia non nasce forse in noi il desiderio che ciò duri per sempre, che non finisca mai? Quaggiù questi stati non durano per sempre, perché non c’è un oggetto che possa appagare indefinitamente. 
Con Dio è diverso. La nostra mente troverà in lui la Verità e la Bellezza che non finirà mai di contemplare e il nostro cuore il Bene di cui non si stancherà mai di godere

Nel libro della Genesi si legge che dopo il peccato Dio disse all'uomo: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai" (Gen 3, 19).
Ogni anno, nel mercoledì della ceneri, la liturgia ci ripete questo severo ammonimento: "Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai". O anche l'altra: "Convertitevi e credete al vangelo".

Facciamo un salto di migliaia di anni e arriviamo a Gesù: "Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io".
Esse contengono la risposta cristiana alla più inquietante delle domande umane.
Morire non è - come era agli inizi della Bibbia e presso il mondo pagano - uno scendere nello Sheol o nell'Ade per condurvi una vita da larve o di ombre; non è - come per certi biologi atei - un restituire alla natura il proprio materiale organico per un ulteriore uso da parte di altri viventi; non è neppure - come in certe forme di religiosità attuali che si ispirano a dottrine orientali (spesso mal comprese) - un dissolversi come persona nel gran mare della coscienza universale, nel Tutto o, a seconda dei casi, nel Nulla ...
È invece un andare a stare con Cristo nel seno del Padre, un essere dove lui è.

Il velo del mistero non è tolto perché non può essere tolto. Come non si può descrivere cos'è il colore a un cieco dalla nascita o il suono a un sordo, così non si può spiegare cos'è una vita fuori del tempo e dello spazio a chi è ancora nel tempo e nello spazio.
Non è Dio che ha voluto tenerci all'oscuro...     Ci è detto però l'essenziale: la vita eterna sarà una comunione piena, anima e corpo, con Cristo risorto, un condividere la sua gloria e la sua gioia.
Papa Benedetto XVI, nella sua recente enciclica sulla Speranza (Spe salvi) riflette sulla natura della vita eterna da un punto di vista anche esistenziale. Comincia con il prendere atto che ci sono persone che non desiderano affatto una vita eterna, ne hanno anzi paura. A che scopo, si chiedono, prolungare una esistenza che si è rivelata piena di problemi e di sofferenze?

La ragione di questa paura, spiega il Papa, è che non si riesce a pensare alla vita se non nei modi che conosciamo quaggiù; mentre si tratta sì di vita, ma senza tutte quelle limitazioni che sperimentiamo al presente.
"La vita eterna, dice l'enciclica, sarà un immergerci nell'oceano dell'infinito amore nel quale il tempo - il prima e il dopo - non esiste più. Non sarà un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità". 

Con queste parole il Papa allude forse, tacitamente, all'opera di un suo famoso conterraneo.
L'ideale del Faust di Goethe è infatti proprio quello di raggiungere una tale pienezza di vita e un tale appagamento da fargli esclamare: "Férmati, istante: sei troppo bello!". 

Certo questa è l'idea meno inadeguata che possiamo farci della vita eterna: un istante che vorremmo non finisse mai e che – a differenza di tutti gli istanti di felicità di quaggiù - non finirà mai!
Un giorno, quando saliremo alla Nuova Gerusalemme dove si celebra la Pasqua eterna, sono sicuro che potremo davvero esclamare davanti a cieli nuovi e terra nuova quello che i giovani innamorati scrivono sui muri o simbolizzano nel chiudere un lucchetto e nel buttare la chiave:
”For ever … for ever , per sempre, in una gioia eterna! “.

 “ … perché l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi».
… non ci sarà più la morte, né lutto,
né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
(Apocalisse 7,17.21,4)

Antonio Fasolo, ofs