2 NOVEMBRE COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI - una meditazione di Thomas Merton



 
Tutta la nostra vita dovrebbe essere una meditazione  della nostra ultima e più importante decisione: la scelta fra la vita e la morte. Noi tutti dobbiamo morire. Ma le disposizioni con le quali affrontiamo la morte fanno di essa una scelta tra la morte e la vita.

Se durante la vita, abbiamo scelto la vita, allora nella morte passeremo dalla morte alla vita. La vita è una cosa spirituale e le cose dello spirito sono silenziose. Se lo spirito che ha mantenuto acceso nei nostri corpi la fiamma della vita fisica ha cura di alimentarsi con l’olio che si trova soltanto nel silenzio della carità di Dio, allora quando il corpo muore, lo spirito continua a bruciare il medesimo olio con la sua stessa fiamma. Ma se invece ha consumato tutto il tempo il vile olio della passione, dell’egoismo, dell’orgoglio, allora quando viene la morte la fiamma dello spirito se ne va con la luce del corpo perché nella lampada non vi è più olio.

Dobbiamo imparare nel tempo della vita ad allestire le nostre lampade e a riempirle di carità in silenzio, parlando e confessando talvolta la gloria di Dio per accrescere la nostra carità, aumentando quella degli altri e insegnando loro anche le vie della pace e del silenzio.

Se al momento della morte, questa viene a noi come uno straniero indesiderato, ciò sarà anche perché Cristo è stato sempre tale per noi. Perché quando viene la morte viene anche Cristo, portandoci quella vita eterna che ci ha acquistato con la propria morte. Perciò quelli che amano la vera vita pensano spesso alla propria morte. E’ infatti il silenzio che fa della morte la nostra serva e persino la nostra amica. Pensieri e preghiere che sorgono dal silenzioso pensiero della morte sono come alberi che crescono vicino all’acqua. Sono pensieri forti che vincono la paura della disgrazia perché hanno vinto passione e desiderio. Volgono il volto dell’anima nostra, in un desiderio costante, verso il volto di Dio.

Quando dico che una vita di silenzio è in vista di una espressione finale, non intendo dire che tutti dobbiamo proporci di morire con pii discorsi sul labbro.
Non è necessario che le nostre ultime parole abbiano un significato particolare o drammatico degno di essere annotato. Ogni buona morte, ogni morte che dalle incertezze di questo mondo ci consegna alla inalterabile pace e al silenzio dell’amore di Cristo, è di per sé un discorso e una conclusione. Essa dice, con o senza parole, che è bene che la vita giunga al suo fine stabilito, che il corpo ritorni alla polvere e lo spirito ascenda al padre, attraverso la misericordia di nostro Signore Gesù Cristo.

Una morte silenziosa può parlare con una pace più eloquente di una morte punteggiata di vivide espressioni. Una morte solitaria, una morte tragica, possono tuttavia aver molto più da dire sulla pace e sulla misericordia di Cristo di parecchie altre morti più tranquille.
Perché l’eloquenza della morte è l’eloquenza della povertà umana che giunge faccia a faccia con le ricchezze della misericordia divina.
Più siamo consapevoli che la nostra povertà è estremamente grande, più grande sarà il significato della nostra morte : e più grande ne sarà la povertà. 

Perché i santi sono quelli che vollero essere i più poveri nella vita e che, più di ogni altro, esultarono nella suprema povertà della morte.

Thomas Merton
 
da Nessun uomo è un isola, 1956 



L’Autore:  nato in Francia nel 1915 - + Bangkok 1968.  In seguito ad un viaggio a Roma, nel 1934 si converte al cattolicesimo e nel ’41 entra nella Trappa. La sua vicenda umana è emblematica della sua generazione e i suoi approdi spirituali comunicano un vigore ancor oggi pregnante . Autore di oltre 60 libri di poesie e prose dedicati soprattutto all'ecumenismo e dialogo interreligioso, pace e dei diritti civili. Negli anni '60, si schierò a sostegno del movimento non-violento per i diritti civili, che definì  "il più grande esempio di fede cristiana attiva nella storia sociale degli Stati Uniti".

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Le fotografie di  pagina sono di Andrea Borghi – nato in Toscana nel 1943, di lui dice “posso fotografare solo ciò che mi fa battere il cuore”.  Foreste e boschi dell’Appennino,  La Verna –  poi,  eremi e monasteri camaldolesi ... antichi saperi … luci e silenzi tra natura e spiritualità. Collabora con Airone, Oasis, Lo Specchio della Stampa etc