HOMO VIATOR - MANIFESTO per la V EDIZIONE FESTIVAL FRANCESCANO - Rimini, 25-27 settembre 2013

In cammino  
Manifesto scientifico della quinta edizione di Festival Francescano a cura di Suor Maria Gabriella Bortot, Remo Di Pinto OFS, Paolo Martinelli OFM capp, Francesco Patton OFM, Prospero Rivi OFM capp e Ugo Sartorio OFM conv.

Homo viator 
Il festival francescano di quest’anno vuole fare riferimento alla metafora del cammino per descrivere la condizione esistenziale di ogni uomo e di ogni donna.
Siamo esseri in cammino. Non siamo mai «arrivati». La vita porta in sé l’insopprimibile desiderio dell’altro e dell’altrove. L’esistenza chiede di uscire dalla propria terra e dalle proprie misure; non bastiamo a noi stessi per essere noi stessi: «l’uomo supera infinitamente l’uomo» scrisse il filosofo Blaise Pascal. L’uomo in cammino rivela la sua condizione incompiuta. Solo uscendo da se stessi, mettendosi in cammino, si incontrano gli altri, si possono creare legami e scoprire appartenenze, antiche e nuove.
Tutto ciò ha una straordinaria conferma nella società contemporanea. Il nostro tempo, infatti, è caratterizzato da una inedita mobilità, non solo a causa dei grandi movimenti migratori che stanno ridisegnando la geografia dei nostri Paesi, ma anche perché l’accelerazione che la società contemporanea ha impresso alle relazioni e nelle attività sta mutando la percezione umana del tempo e dello spazio. In un certo senso siamo tutti in continuo movimento. Abitare il mondo vuol dire oggi semplicemente attraversarlo, andando sempre oltre.
Ma non tutti i cammini sono uguali.
  • Esiste il passo del vagabondo, che vede come protagonista il camminatore senza meta e senza orientamento. Ci si muove, si lascia la propria casa, ma non si cerca veramente qualcosa o qualcuno. Infine, si rischia di perdere la propria casa che è stata abbandonata, senza avere una nuova dimora. La meta appare essere lo stesso cammino, che alla lunga potrà disperdere i passi e rendere incapaci di riconoscere il nuovo che si offre negli incontri.Il vagabondo è figura sostanzialmente solitaria. Difficilmente l’altro diventerà compagno di cammino, giacché al cammino manca una direzione.
  • Esiste poi l’incedere del turista. Egli si muove ben volentieri; vuole conoscere; è curioso della realtà insolita. Cerca una discontinuità nel cammino ripetitivo della vita quotidiana. Il suo è un cammino, solitario o in compagnia, ben organizzato. Sa qual è la meta. È programmata. Tuttavia il suo cuore difficilmente si lascerà mutare interiormente. A meno che un imprevisto accada, che rimescoli le carte in tavola. Altrimenti, trascorsi i giorni previsti, si ritornerà alle cose solite. In attesa del prossimo viaggio. Per il turista, l’altro e l’altrove difficilmente sono tali, perché ricercati solo come benefiche distrazioni.
  • Infine, c’è il camminare del pellegrino. Egli si muove per raggiungere una meta profondamente desiderata. Si muove portando in sé una domanda, una preghiera. Il pellegrino gusta ogni passo e ogni incontro nella prospettiva della meta, dove depositerà e affiderà alla Vergine, al Santo, le proprie speranze, i propri dolori e le gioie inaspettate. Anche quando si parte da soli, sulla via del pellegrinaggio, ci si accorge sempre di appartenere a un popolo di pellegrini; alla meta si arriva in compagnia. Ogni istante è relativo allo scopo e lo scopo dà senso a ogni passo compiuto. Il pellegrinaggio è il cammino che cambia la vita; da esso non si ritorna mai uguali. È il cammino che cambia il cuore e lo sguardo sulle cose solite, che acquistano così un colore nuovo.
  • La Sacra Scrittura dice che dobbiamo essere «stranieri e pellegrini» (1Pt 2,11); lo stesso dirà san Francesco d’Assisi nella Regola Bollata (VI,1).  Tanti hanno interpretato queste parole come un invito a estraniarsi dalla storia e dal mondo.
In realtà esse contengono la più grande risposta di Dio al cuore dell’uomo e alla sua sete di compimento. Avere la coscienza che la vita è un pellegrinaggio è il modo più vero per vivere ogni circostanza dell’esistenza.
L’essere in cammino dà il giusto peso alle cose e ci impedisce di aspettarci da esse quella felicità che ci può venire solo dall’incontro con Dio. Per il pellegrino e forestiero, ossia per l’uomo in cammino, tutto è segno e profezia della meta.


  • Itineranti, come Francesco ...

Rispetto all’esperienza dell’itineranza che era sopravvissuta, ma con una valenza prevalentemente ascetica, nella Chiesa dei primi secoli e nel monachesimo medievale, è possibile cogliere l’originalità che Francesco ha conferito all’immagine del discepolo come «pellegrino e forestiero» in ogni terra.
Egli ha, infatti, arricchito di nuovi contenuti e di nuove motivazioni l’andare per il mondo, che per lui diviene espressione di un bisogno di comunione e di relazionalità che si traduce nella volontà di essere-per-gli-altri e di essere-con-gli-altri. 
L’itineranza francescana appare così in primo luogo come una forma di testimonianza da leggere entro un’ecclesiologia di comunione. Con grande lucidità, Francesco ha percepito fin da subito la sua vocazione come sequela del Signore Gesù Cristo «pellegrino e forestiero» il quale, fin dall’inizio della sua vita terrena, ha scelto di stare sulla strada («natus pro nobis in via» dice Francesco nell’Ufficio della Passione: FF 303) e non aveva dove posare il capo.
Il «seguire le orme di Cristo», espressione così cara a Francesco, rientra nella sua intenzione di vivere secundum sanctum evangelium e sta perciò al cuore della sua spiritualità.
Anche la scelta di una povertà radicale fa parte di questa volontà di sequela e riflette l’atteggiamento di Cristo, che da pellegrino e forestiero non si è attaccato a nulla e anzi, come afferma Francesco, è vissuto di elemosine (FF 31).
Dal momento che il possedere incatena e spinge all’installazione, la povertà diviene la condizione caratteristica peculiare dell’itinerante. Essa serve a mantenere lo sguardo rivolto alla «terra dei viventi» (FF 90) ed è finalizzata a tener desta la tensione verso il futuro e ad accrescere l’atteggiamento di fiducia e di abbandono alla Provvidenza.
Per Francesco, infatti, la povertà tiene viva nell’uomo la coscienza del suo essere in statu viatoris, ravviva la gratitudine verso Colui che veramente si prende cura di noi, apre alla solidarietà e trasforma chi la vive in un efficace testimone dell’Assoluto.
Ma soprattutto l’itineranza francescana degli inizi contiene una forte valenza missionaria, che i biografi non mancano di sottolineare a più riprese segnalando che sia Francesco che i suoi compagni andavano per civitates et loca per annunciare il Vangelo e invitare alla conversione.
Essi non aspettano che i laici vengano da loro, ma escono dalle chiese e si rendono presenti nelle piazze, nelle case, sulle strade, insomma là dove la gente è solita incontrarsi. E questo è uno dei connotati che più caratterizzano in senso innovativo il progetto di vita elaborato da Francesco.
Mentre Benedetto invitava la gente del mondo al monastero, Francesco vuole che la sua fraternità sia mobile e penetri nel mondo. Sono due formule nettamente diverse, che meritano di essere confrontate, perché sono le più notevoli che siano state espresse dalla spiritualità cristiana nel Medioevo.
Non si può mancare di accennare al fatto che nella vita itinerante di Francesco rientrano anche i suoi pellegrinaggi alle tombe degli Apostoli, a San Michele sul Gargano, a Santiago di Compostela e ai luoghi della Terra Santa. In questa peregrinazione verso i luoghi santi vi è in lui un bisogno tutto umano di nutrire la fede con l’apporto concreto di dati che diano a essa un fondamento storico e geografico.
La rappresentazione vivente del presepe a Greccio risponde a questa necessità. E la stessa Via Crucis, così amata e diffusa lungo i secoli dai francescani, risponde a questo bisogno di toccare, vedere e sentire la presenza del Salvatore.
Per diverse vicissitudini storiche e spesso proprio perché itineranti, i francescani sono divenuti custodi di molti grandi santuari: in Terra Santa, ad Assisi, a Padova, Loreto, San Giovanni Rotondo manifestano l’impegno assunto dalla famiglia francescana verso i tanti milioni di persone che passano da questi luoghi.
Si può dire che qui l’itineranza francescana si è trasformata in un servizio agli itineranti, che richiede sensibilità e preparazione, poiché spesso è un’occasione preziosa di trasformare in pellegrino chi arriva in questi luoghi da turista.
Camminando nel mondo il tema del «cammino» a livello sociale può assumere differenti volti. Innanzitutto l’esperienza di Francesco, seguace del Cristo pellegrino e forestiero, ci rimanda immediatamente all’impegno implicito di aprire il cuore a quegli immigrati o vagabondi per i quali la vita sulla strada è una dura necessità di sopravvivenza (FF 30).
Lo spostamento di masse e il fenomeno forte dell’immigrazione, pur largamente annunciati, hanno trovato in gran parte non preparato il vecchio continente, nel quale inizialmente è prevalso il modello dello sfruttamento della manodopera e della negazione dei diritti umani e civili dei nuovi arrivati.
Ma tale atteggiamento partiva da una prospettiva sbagliata: non teneva presente che una società è tanto viva e orientata alla vita quando più è capace di riconoscersi come relazione di soggetti strettamente connessi tra loro, che si riconoscono e accolgono reciprocamente.
La vita comunitaria, infatti, implica la condivisione di un sistema di significati, di norme di comportamento, di valori, di riti e di usanze, che parlano di una storia comune i cui elementi non sono destinati a rimanere fissi e immutabili nel tempo.
La presenza dello «straniero» viene a rimarcare proprio questo concetto: essa è, in un certo senso, la riprova che una società non si identifica con qualcosa di fisico, ma è un modello relazionale che coinvolge persone concrete le quali nel tempo possono anche cambiare. Quali possono essere le reazioni di un gruppo sociale che si trova a confrontarsi in modo più o meno improvviso con una presenza straniera all’interno dei propri confini tradizionali? Possiamo a grandi linee delinearne tre (con altrettante ripercussioni sociali):
  1. la prima è il rifiuto e/o la contrapposizione, che porta a escludere l’altro, il «diverso»;
  2. a seconda è l’indifferenza, la cui conseguenza è l’emarginazione;la terza è invece l’accoglienza, l’unica posizione delle tre capace di essere generativa di un tessuto sociale pacifico e nonviolento.
Per questo dovremmo perseguire un’accoglienza che, non portando a rinnegare i propri valori o a dimenticare la propria storia, sia comunque capace di cogliere il positivo dell’altro anche partendo da un dato di crudo realismo: ciò che si rifiuta e al quale non si riconosce dignità, prima o poi esploderà rivendicando in maniera spesso violenta la propria presenza.
Ma non possiamo qui dimenticare nemmeno il cammino dei tanti che, soprattutto in questi ultimi anni, bussano, spesso inutilmente, a numerose porte alla ricerca di un lavoro che hanno perduto o che non hanno mai trovato. Giovani costretti a emigrare, a rimandare la costruzione di un futuro che la società dovrebbe poter loro garantire per lo meno in termini di opportunità. Persone già avanti con gli anni che giungono talvolta a togliersi la vita, dopo aver peregrinato troppo a lungo e in solitudine in questa ricerca infruttuosa.  Le Costituzioni dell’Ordine francescano secolare (art.21, 1) ricordano come «per Francesco il lavoro è dono e lavorare è grazia. Il lavoro di ogni giorno è non solo mezzo di sostentamento, ma occasione di servizio a Dio e al prossimo e via per sviluppare la propria personalità». Per tale motivo siamo chiamati a operare a livello sociale, civile e politico affinché il lavoro sia sempre più nel concreto un diritto inalienabile di ogni essere umano.

Anche Festival Francescano è “in cammino”. 

«L’opzione fondamentale è scendere per le strade e cercare la gente: questa è la nostra missione. Il rischio che corriamo oggi è quello di una Chiesa autoreferenziale: simile al caso di molte persone che diventano paranoiche e autistiche, capaci di parlare solo a loro stesse». Sono parole da Festival Francescano. Sono parole del cardinale Jorge Mario Bergoglio, ora papa.
Il primo papa che sceglie il nome di Francesco, conosciuto come il Vescovo dei poveri.
Ha fatto scalpore il suo lavare i piedi ai malati di AIDS e ai carcerati, gesto chiaramente attualizzante quello di san Francesco per i lebbrosi.
Il primo saluto alle migliaia di fedeli in piazza San Pietro e alle centinaia di milioni che lo vedevano vestito di bianco è stato un comune “buona sera” che ha subito gettato un ponte verso la piazza, verso il mondo, verso tutte le persone di buona volontà.
“Cominciamo un cammino di fratellanza, amore e fiducia fra noi”. È questo l'augurio che rivolgiamo anche all'edizione 2013 di Festival Francescano.