CAMMINANDO NEL VANGELO - 33^ Domenica del T.O. (Lc. 21, 5-19) - nel commento di Adelaide Rossi


La vita dei discepoli del Signore non sarà tranquilla: non mancheranno persecuzioni, tradimenti, tentazioni e inganni. Occorre la perseveranza, Allora si potrà essere salvi nello sfacelo di tutte le cose.

Una riflessione:

Il Vangelo di questa domenica fa parte dei famosi discorsi sulla fine del mondo, caratteristici delle ultime domeniche dell’anno liturgico. Pare che in una delle prime comunità cristiane, quella di Tessalonica, vi fossero dei credenti che traevano, da questi discorsi di Cristo, una conclusione sbagliata: inutile affannarsi, inutile lavorare e produrre, tanto tutto sta per passare; meglio vivere alla giornata, senza assumere impegni a lungo termine.
A essi risponde san Paolo nella seconda lettura: “Sentiamo che alcuni di voi vivono disordinatamente,… A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace”. All’inizio del brano, san Paolo ricorda la regola che egli ha dato ai cristiani di Tessalonica: “Chi non vuole lavorare, neppure mangi”.

La cultura alla quale essi appartenevano disprezzava il lavoro manuale, lo riteneva degradante per la persona e tale da essere lasciato agli schiavi e agli incolti. Ma la Bibbia ha una visione diversa. Fin dalla prima pagina essa presenta Dio che opera per sei giorni e si riposa nel settimo giorno. Tutto questo, prima che nella Bibbia si parli del peccato. Il lavoro fa dunque parte della natura originaria dell’uomo, non della colpa e del castigo. Il lavoro manuale è altrettanto dignitoso di quello intellettuale e spirituale. Gesù stesso dedica gran parte dei suoi anni al lavoro; solo un paio alla predicazione, al lavoro spirituale.

“Con il lavoro –si legge in un testo del concilio- l’uomo abitualmente provvede alle condizioni di vita proprie e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità… Ancor più: sappiamo per fede, che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l’uomo si associa all’opera stessa redentivi di Cristo” (Gaudium et spes, 67).

Non importa tanto che lavoro uno fa, quanto e come lo fa. Una persona che ha svolto mansioni   umilissime nella vita, può “valere” molto di più di chi ha occupato posti di grande prestigio. Il lavoro è partecipazione all’azione creatrice di Dio e all’azione redentrice di Cristo ed è fonte di crescita personale e sociale, ma esso, si sa, è anche fatica, sudore, pena. Può nobilitare, ma anche logorare. Il segreto è mettere il cuore in tutto ciò che si fa. Non è la mole o il tipo di lavoro che stanca, quanto la mancanza di entusiasmo e di motivazione.

Adelaide Rossi, ofs