C´è un momento, nella vita del Beato Andrea Ronconi, nel quale risaltano con singolare evidenza i caratteri ed i contrasti di quel secolo ricco di fede e di opere, di santità ed anche di avidità, che fu il Duecento.
Il contrasto è qui impersonato da due giovani fratelli della famiglia Ronconi, di Saludecio in Romagna, non lontano da Rimini. Il primo, Girolamo, pensa agli affari ed al guadagno, pensa che è giunto il momento migliore, non soltanto per lui, di acchiappare la fortuna con le imprese e le speculazioni mercantili. Perciò non riesce a capire nè ad approvare il fratello minore, Amato, il quale, sedotto dalle cose dello spirito, non vuole sentire parlare di negozi e di traffici, d´interessi e di occulatezza.
Amato Ronconi rappresenta così, davanti al fratello, l´altro volto della società del secolo: quello di San Francesco e di San Domenico, dei Poverelli e degli Umiliati, dei Pellegrini e dei Terziari.
Perfino il matrimonio, che per il fratello maggiore è una specie di contratto d´affari, per Amato è un impegno grave e delicatissimo, perché obbliga ad una difficile rinuncia: quella della castità, così cara a Dio. Proprio per evitare il matrimonio e per non cedere alle lusinghe della cognata, che gli voleva far togliere in sposa la propria sorella, il giovane Amato abbandonò la casa del fratello, deludendo le due donne e suscitando il loro cieco risentimento.
Si ritirò in una costruzione solitaria, nella quale, insieme con una devota sorella, istituì un ospizio per i pellegrini, che ancora esiste a Saludecio. La sua vita fu allora impostata sulla preghiera e sulla penitenza, sul lavoro e sulla carità.
Abbiamo parlato di San Francesco e dei Terziari. Il giovane Ronconi, ritirandosi a vita religiosa, seguì, quasi istintivamente, l´antica e gloriosa Regola di San Benedetto, che aveva per motto, come si sa, "Ora et Labora". Ma a questa impostazione spirituale e materiale della sua vita che seguiva la tradizione benedettina, Amato volle aggiungere l´impegno del Terzo Ordine Francescano, testimoniando ancora una volta di essere, in tutto e per tutto, figlio del suo secolo ed aperto ai richiami ed ai fermenti del suo tempo.
Le due donne, che egli aveva deluso e scorrucciato, non mancarono di rendergli la vita difficile. Dissero, per esempio, che era diventato pazzo. Ma doveva essere un pazzo eccezionale se una volta, nell'intervallo di un lavoro che egli compiva insieme con altri braccianti per guadagnare di che aiutare il suo ospizio, fu sorpreso da un ragazzo nel bosco, sollevato da terra nell´estasi di una preghiera.
Neanche questo miracolo scoraggiò le due donne, che sparsero l´orribile calunnia di rapporti infamanti tra Amato e la propria sorella. Questa volta fu il messo che lo convocava in Tribunale per discolparsi ad essere testimone di un altro prodigio.
Entrato nella cella del Beato, vide Amato che si spogliava, prima di infliggersi, per penitenza, una flagellazione e, spogliandosi, appendeva le vesti ad un raggio di sole che entrava dalla finestra ed attraversava dorato tutta la stanza. Davanti a questi prodigi, davanti a quell´esempio di vita, le punte della calunnia finirono per spezzarsi.
E il Beato Amato, dopo aver accolto nel suo ospizio tanti pellegrini, volle farsi egli stesso pellegrino. Allungò via via la portata dei suoi devoti viaggi: Rimini, San Marino, Assisi, Roma, fino a partire alla volta di San Giacomo di Campostella, nella lontana Spagna.
Quello di Campostella era, come abbiamo detto altre volte, uno dei pellegrinaggi universali del Medioevo. Ogni fedele sognava di potersi recare almeno una volta, prima di morire, a pregare sulla tomba dell'Apostolo.
Amato di Saludecio compì quel pellegrinaggio per ben quattro volte in pochi anni, in mezzo ai pericoli e disagi d´ogni genere.
Aveva da poco iniziato il quinto pellegrinaggio verso Santiago, quando un angelo gli apparve e lo consigliò di ritornare al natio paese, perché prossima era la sua fine. Non era ancora vecchio, perché era nato nello stesso anno in cui, ad Assisi, moriva San Francesco, cioè nel 1226.
Il suo trapasso, avvenuto verso il 1292, fu lieto e sereno. Ebbe tempo di praticare con maggiore perfezione, nella sua cella quasi monastica, gli insegnamenti della regola benedettina; in favore dei Benedettini redasse il suo testamento, che è stato ritrovato poco tempo fa, lasciando loro tutti i suoi beni.
Ma proprio in questo testamento, il "religioso e onesto uomo Amato", seguace della Regola di San Benedetto e benefattore dei suoi monaci, si definiva, per unico titolo, "Terziario di San Francesco". Quasi a richiamare ed a sottolineare i caratteri spirituali emersi soprattutto in quel secolo, di cui il venerato figlio della Romagna, onore di Saludecio, era degno rappresentante.
Piero Bargellini
Amato Ronconi rappresenta così, davanti al fratello, l´altro volto della società del secolo: quello di San Francesco e di San Domenico, dei Poverelli e degli Umiliati, dei Pellegrini e dei Terziari.
Perfino il matrimonio, che per il fratello maggiore è una specie di contratto d´affari, per Amato è un impegno grave e delicatissimo, perché obbliga ad una difficile rinuncia: quella della castità, così cara a Dio. Proprio per evitare il matrimonio e per non cedere alle lusinghe della cognata, che gli voleva far togliere in sposa la propria sorella, il giovane Amato abbandonò la casa del fratello, deludendo le due donne e suscitando il loro cieco risentimento.
Si ritirò in una costruzione solitaria, nella quale, insieme con una devota sorella, istituì un ospizio per i pellegrini, che ancora esiste a Saludecio. La sua vita fu allora impostata sulla preghiera e sulla penitenza, sul lavoro e sulla carità.
Abbiamo parlato di San Francesco e dei Terziari. Il giovane Ronconi, ritirandosi a vita religiosa, seguì, quasi istintivamente, l´antica e gloriosa Regola di San Benedetto, che aveva per motto, come si sa, "Ora et Labora". Ma a questa impostazione spirituale e materiale della sua vita che seguiva la tradizione benedettina, Amato volle aggiungere l´impegno del Terzo Ordine Francescano, testimoniando ancora una volta di essere, in tutto e per tutto, figlio del suo secolo ed aperto ai richiami ed ai fermenti del suo tempo.
Le due donne, che egli aveva deluso e scorrucciato, non mancarono di rendergli la vita difficile. Dissero, per esempio, che era diventato pazzo. Ma doveva essere un pazzo eccezionale se una volta, nell'intervallo di un lavoro che egli compiva insieme con altri braccianti per guadagnare di che aiutare il suo ospizio, fu sorpreso da un ragazzo nel bosco, sollevato da terra nell´estasi di una preghiera.
Neanche questo miracolo scoraggiò le due donne, che sparsero l´orribile calunnia di rapporti infamanti tra Amato e la propria sorella. Questa volta fu il messo che lo convocava in Tribunale per discolparsi ad essere testimone di un altro prodigio.
Entrato nella cella del Beato, vide Amato che si spogliava, prima di infliggersi, per penitenza, una flagellazione e, spogliandosi, appendeva le vesti ad un raggio di sole che entrava dalla finestra ed attraversava dorato tutta la stanza. Davanti a questi prodigi, davanti a quell´esempio di vita, le punte della calunnia finirono per spezzarsi.
E il Beato Amato, dopo aver accolto nel suo ospizio tanti pellegrini, volle farsi egli stesso pellegrino. Allungò via via la portata dei suoi devoti viaggi: Rimini, San Marino, Assisi, Roma, fino a partire alla volta di San Giacomo di Campostella, nella lontana Spagna.
Quello di Campostella era, come abbiamo detto altre volte, uno dei pellegrinaggi universali del Medioevo. Ogni fedele sognava di potersi recare almeno una volta, prima di morire, a pregare sulla tomba dell'Apostolo.
Amato di Saludecio compì quel pellegrinaggio per ben quattro volte in pochi anni, in mezzo ai pericoli e disagi d´ogni genere.
Aveva da poco iniziato il quinto pellegrinaggio verso Santiago, quando un angelo gli apparve e lo consigliò di ritornare al natio paese, perché prossima era la sua fine. Non era ancora vecchio, perché era nato nello stesso anno in cui, ad Assisi, moriva San Francesco, cioè nel 1226.
Il suo trapasso, avvenuto verso il 1292, fu lieto e sereno. Ebbe tempo di praticare con maggiore perfezione, nella sua cella quasi monastica, gli insegnamenti della regola benedettina; in favore dei Benedettini redasse il suo testamento, che è stato ritrovato poco tempo fa, lasciando loro tutti i suoi beni.
Ma proprio in questo testamento, il "religioso e onesto uomo Amato", seguace della Regola di San Benedetto e benefattore dei suoi monaci, si definiva, per unico titolo, "Terziario di San Francesco". Quasi a richiamare ed a sottolineare i caratteri spirituali emersi soprattutto in quel secolo, di cui il venerato figlio della Romagna, onore di Saludecio, era degno rappresentante.
Piero Bargellini