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Anno A - 33^ Domenica del T.O. commentata da Adelaide Rossi (Mt. 25,1-13)

33^ Domenica  del T.O.
(Mt. 25, 14-30)

Saremo giudicati in base allo sforzo con il quale avremo messo a frutti i doni di Dio. Non tanto verranno valutati i risultati in assoluto, poiché i doni di Dio sono diversamente distribuiti. 

Il Vangelo di questa domenica è la parabola dei talenti. Sentendo parlare di talenti pensiamo subito alle doti naturali di intelligenza, bellezza, forza, capacità artistiche. L’uso non è del tutto errato, ma è secondario.
Gesù non intendeva parlare dell’obbligo di sviluppare le proprie doti naturali, ma di far fruttare i doni spirituali da lui recati. A sviluppare le doti naturali ci spinge già la natura, l’ambizione, la sete di guadagno. A volte, anzi, è necessario tenere a freno questa tendenza a far valere i propri talenti perché essa può diventare facilmente carrierismo, smania di imporsi sugli altri.
 
I talenti di cui parla Gesù sono la parola di Dio, la fede, in una parola il regno da lui annunciato. In questo senso la parabola dei talenti si affianca a quella del seminatore. Alla diversa sorte del seme da lui gettato (produrre il 60%; rimanere sepolto sotto le spine; mangiato dagli uccelli), corrisponde qui il diverso guadagno realizzato con i talenti.

I frutti dei talenti naturali finiscono con noi o al massimo passano agli eredi; i frutti dei talenti spirituali ci seguono nella vita eterna e un giorno ci varranno l’approvazione del Giudice divino.

Il nostro dovere umano e cristiano non è solo di sviluppare i nostri talenti naturali e spirituali, ma anche di aiutare gli altri a sviluppare i loro. Nel mondo moderno esiste una professione, i talent-scout, cioè scopritori di talenti. Sono persone che sanno individuare dei talenti nascosti (pittore, cantante, calciatore…) e li aiutano a coltivare il loro talento e trovare chi li sponsorizza. 
Il Vangelo ci aiuta ad essere tutti dei talent-scout, non però per amore del guadagno, ma per aiutare chi non ha la possibilità di affermarsi da solo. L’umanità deve alcuni dei suoi geni o artisti migliori all’altruismo di una persona amica che ha creduto in essi e li ha incoraggiati, quando nessuno credeva in loro.
Un caso esemplare che mi viene alla mente è quello di Theo Van Gogh, che sostenne tutta la vita, economicamente e moralmente, il fratello Vincent, quando nessuno credeva in lui ed egli non riusciva a vendere nessuno dei suoi quadri. 

La prima lettura ci invita a soffermarci su un talento in particolare che è al tempo stesso naturale e spirituale: il talento della femminilità, il talento di essere donna. “Una donna perfetta chi potrà trovarla?”. Questo elogio, così bello, ha un difetto, che non dipende ovviamente dalla Bibbia ma dall’epoca in cui fu scritto e dalla cultura che essa riflette. Se ci si fa caso, si scopre che esso è interamente in funzione dell’uomo. La sua conclusione è: beato l’uomo che possiede una tale donna. Essa gli tesse bei vestiti, fa onore alla sua casa, gli permette di camminare a testa alta tra gli amici.

Noi non crediamo che “l’eterno femminino ci salverà”. L’esperienza quotidiana dimostra che la donna può “sollevarci in alto”, ma può anche farci precipitare in basso. Anch’essa ha bisogno di essere salvata da Cristo. Ma è certo che, una volta redenta da Cristo e “liberata”, sul piano umano, da antiche soggezioni, essa può contribuire a salvare la nostra società da alcuni mali inveterati che la minacciano: violenza, volontà di potenza, aridità spirituale, disprezzo della vita.