I santi che la liturgia celebra in questa festa non sono solo quelli
canonizzati dalla Chiesa e che troviamo menzionati nei nostri calendari.
Sono
tutti i salvati che formano la Gerusalemme del cielo. Parlando sei santi, san
Bernardo diceva: “Non siamo pigri nell’imitare quelli che siamo felici di
celebrare”.
E’ dunque l’occasione ideale per riflettere sulla “universale chiamata di tutti i cristiani alla santità”.
E’ dunque l’occasione ideale per riflettere sulla “universale chiamata di tutti i cristiani alla santità”.
La prima cosa che bisogna fare, quando
si parla di santità, è di liberare questa parola dalla paura che essa incute, a
causa di certe rappresentazioni errate che ce ne siamo fatti. La santità può
comportare fenomeni straordinari, ma non si identifica con essi. Se tutti sono
chiamati alla santità, è perché, intesa rettamente, essa è alla portata di
tutti, fa parte della normalità della vita cristiana.
Forse anche per il momento dell’anno in
cui cade, la festa di tutti i santi ha qualcosa di particolare che spiega la
sua popolarità e le numerose tradizioni a essa legate in alcuni settori della
cristianità. Il motivo è in ciò che dice Giovanni nella seconda lettura ( 1 Gv.
3, 1-3). In questa vita, “noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo ancora non
appare”; siamo come l’embrione nel seno della madre che anela a venire alla
luce. I santi sono quelli che sono “nati” (la liturgia chiama “giorno
natalizio”, dies natalis, il giorno della loro morte); contemplarli è
contemplare il nostro destino. Mentre intorno a noi la natura si spoglia e
cadono le foglie, la festa di tutti i santi ci invita a guardare in alto; ci
ricorda che non siamo destinati a marcire in terra per sempre, come foglie
morte.
Il brano evangelico è quello delle
beatitudini. Una beatitudine in particolare ha ispirato la scelta del brano:
“Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati”. I
santi sono coloro hanno avuto fame e sete di giustizia, cioè,nel linguaggio
biblico, di santità. Non si sono rassegnati alla mediocrità, non si sono
accontentati delle mezze misure.
Ci aiuta a capire chi sono i santi la
prima lettura della festa. Essi sono “coloro che hanno lavato le loro vesti nel
sangue dell’Agnello”. La santità si riceve da Cristo. Nell’Antico Testamento
essere santi voleva dire “essere separati” da tutto ciò che è impuro;
nell’accezione cristiana vuol dire piuttosto il contrario e cioè “essere uniti”
a Cristo. I santi, cioè i salvati, non sono soltanto quelli elencati o
nell’albo dei santi, Vi sono anche i “santi ignoti”: quelli che hanno rischiato
la vita per i fratelli, i martiri della giustizia e della libertà, o del
dovere; i “santi laici”, come li ha
chiamati qualcuno.
Una domanda viene spontanea: “Cosa fanno
i santi i paradiso?. La risposta è nella prima lettura: i salvati adorano,
gettano le loro corone davanti al trono.
Si realizza in essi la vera vocazione umana che è di essere “lode della
gloria di Dio” (Efesini 1, 14). Il loro coro è guidato da Maria che in cielo
continua il suo cantico di lode: “L’anima mia magnifica il Signore”. E’ in
questa lode che i santi trovano la loro beatitudine: “Il mio spirito esulta in
Dio”. L’uomo è ciò che ama e ciò che ammira. Amando e lodando Dio ci si
immedesima con Dio, si partecipa della sua gloria e della sua stessa felicità.
Adelaide Rossi, ofs