VITA DELLA BEATA LUDOVICA ALBERTONI, TERZIARIA FRANCESCANA di Agata Buzzi


COMPATRONA DI ROMA E PATRONA DELL'OFS ROMANO

"Santa di Roma" è la più bella definizione per presentare la Beata Ludovica Arbertoni e non soro perché ogni angolo della città rievoca la sua edificante presenza, ma soprattutto perché in lei si armonizzano i caratteri più positivi deila romanità di tutti i tempi: dalla sublime ed eroica santità, alle più elette virtù civiche, ai più puri ideali estetici. Nobile di nascita, ma soprattutto di spirito, bellissima anzi di "eccessiva beltà", colta, determinata nel carattere, concreta nell’agire, dotata di quella speciale grinta tipica delle vere romane, Ludovica è stata e rimane tuttora una donna e una santa attualissima: degli eventi drammatici della sua vita e queili della sprendida Roma del Rinascimento si possono in gran parte rapportare, sia pura in modi diversi, a quelli dell’odierna società e della nostra sempre splendida Roma.

VITA - Nata a Roma, nel rione Campitelli, nel 1473 da stefano Albertoni e da Lucrezia Tebaldi, sperimentò fino dalla più tenera infanzia il dolore ed il grande vuoto per la privazione dei più intimi e cari affetti familiari: a soli tre anni perdette il padre e nel giro di pochi mesi anche i nonni ai quali era stata affidata insieme alla sorella Laura.
La madre, passata a nuove nozze, affidò l’educazione di entrambe le figlie ai parenti i quali, dopo averle introdotte nel luminoso e colto mondo del Rinascimento romano, secondo la consuetudine del tempo, si preoccuparono anche di accasarle convenientemente.
Nonostante il carattere determinato ad una certa chiarezza di dee nelle sue scelte, Ludovica accettò di andare sposa al nobile trasteverino Giacomo della Cetera più per obbedienza che per convinzione. Trasferitasi in Trastevere, cominciò a frequentare, con sempre maggiore assiduità, la chiesina di San Francesco a Ripa, progettata dal Cavallini e sottostante all'attuale chiesa, affinando lo spirito nellafede, nella preghiera, sul vero senso della vita e confidando al Signore il suo interiore tormento: la convivenza matrimoniale, infatti, bénché allietata dalla nascita della primogenita Camilla, non fu affatto felice.
Pur essendo una rispettabile Persona, Giacomo Della Cetera si rivelò alquanto immaturo ed inadeguato nel costruire accanto alla sua sposa una vera famiglia ed incapace di Sestire il patrimonio familiare, arrivando perfino ad intaccare la dote della moglie. Ludovica, al contrario, alla Profondità dei sentimenti univa determinaziorne oculatezza, lungimimanza e grande abilità nella conduzione della casa.
Lorenzo Ottoni, Apparizione
della Sacra Famiglia
alla Beata Ludovica Albertoni
(1697-1705 ca.), marmo di Carrara
MADRE DI FAMIGLIA - Dopo alterne e dolorose vicende, sfociate presumibilmente in temporanei periodi di separazione o di riflessione, Ella lasciò Trastevere per tornare in Campitelli nella casa paterna. A ventitre anni, inoltre, fece regolare testamento nel quale nominava sua unica erede la figlia Camilla, ed esprimeva la volontà di essere sepolta in Santa Maria in Campitelli: la chiesa della sua infanzia, ove si conserva ancora il fonte battesimale nel quale fu battezzata, il muro perimetrale della casa paterna, I'immagine di Santa Maria in Portico che tanto pregava e venerava. Infine prevalse in lei la fede nella sacralità e nella funzione sociale del matrimonio, per cui riuscì a costruire un rapporto più solido ed affettuoso con il marito, reso fecondo dalla nascita di altre due figlie: Antonina e Silvia e, revocando la succitata volontà testamentaria, manifestò, in un nuovo testamento, il desiderio di essere sepolta nella tomba dei Della Cetera in San Francesco Ripa. Purtroppo la sventura si abbatté ancora su di lei togliendole nel 1506 il marito Giacomo. Grande fu la sua sofferenza per "l'odiata vedovanza".

VEDOVA - Rimasta dunque vedova a soli trentatré anni, dovette assumersi da sola la responsabilità di allevare, educare, dotare tre figlie, di ricostituire il patrimonio dissestato, di affrontare le complesse controversie testamentarie suscitate dagli avidi parenti del marito, rivelando coraggio, sagacia, una formidabile grinta in difesa della giustizia ed a tutela dei legittimi diritti delle figlie. Lottò con forza, tenacia e competenza sorprendenti, riuscendo a vincere la sua battaglia nonostante il lacerante dolore e le ulteriori complicazioni legali createsi con la morte della primogenita Camilla.
Accasate convenientemente le figlie, si sentì finalmente libera di realizzare il desiderio coltivato fin dalla giovinezza: quello di dedicarsi completamente a Dio, rifiutando con cortesia e fermezzale numerose richieste di matrimonio che continuamente riceveva per la sua bellezza e signorilità ancora intatte, per la sua intelligenza e cultura, per la nobiltà del suo casato.

SPIRITUALIA' - Scelse quali modelli di vita interiore San Francesco d'Assisi cui I'accomunava la sua particolare attitudine spirituale nel percepire la voce del creato e il suo spiccato ardore nell'amare il Padre Celeste, il suo disegno di salvezza realizzato nell'incarnazione redentrice del Figlio e tutte le creature, specialmente le più dimenticate. Scelse altresì Santa Francesca Romana, come lei nobile, come lei provata dal dolore, come lei sensibile e concretamente attiva verso ogni sorta di sofferenza umana, tanto da rendere il suo palazzo meta di bisognosi di ogni genere.
Entrò, forse nel 1506, nel Terzo Ordine Francescano in San Francesco a Ripa, ove "fioriva la santità" per I'opera di riforma spirituale in atto, assumendone gli impegni spirituali e di vita attiva con serietà, "convinzione e coerenza ed adoperandosi quindi instancabilmente in favore dei diritti dell'amata gente di Roma".
 Come Francesco amò e scelse la povertà, privandosi dei suoi beni in favore dei bisognosi e vestendo ella stessa come la gente più umile per essere credibilmente una di loro. Alle figlie che la rimproveravano di venir meno agli impegni del suo rango, dolcemente rispondeva: "Figlie mie, la povertà non è una macchia". Anche modestamente vestita, Ludovica mai perse la sua dignità e quella signorilità e nobiltà di modi che emanavano dalla sua persona.
 Come Francesco, volle avere il cuore distaccato da cose e luoghi, pertanto la sua dimora era là dove la carità ed il bisogno più impellente dei poveri la chiamavano. Per questo spostò più volte la sua residenza: la troviamo, infatti, nei rioni Pigna, Regola, Sant'Eustacchio ed altri, anche se la sua presenza più lunga ed operosa fu nella sua e nostra Trastevere, il suo rione di elezione. Gli ospedali ed i luoghi di soffererenza e povertà costituivano la sua meta preferita: offrendo cure e cibo, alimentava nei miseri soprattutto la speranza ed il coraggio di lottare per la giustizia e per un più sereno futuro.
  Coerente agli insegnamenti evangelici, costituenti la forma di vita del Terzo Ordine, si riconobbe tra gli "ultimi" e, da donna concreta quale era, volle calarsi nelle realtà più degradanti di Roma per sperimentarle sulla propria pelle e battersi, da pari a pari, anche nei confronti delle Autorità cittadine, per la promozione morale, civile e sociale di un'umanità minore ignara perfino di avere dei diritti.

ESEMPIO NELL'IMPEGNO SOCIALE - Fu una vera antesignana dell'emancipazione femminile: accoglieva in casa Ie ragazze nubili, insegnando loro I'arte del telaio per guadagnarsi onestamente il pane ed una, sia pur minima indipendenza, riscattandole così dalle angherie dei parenti e sottraendole alla spirale della prostituzione. Una realtà quest'ultima di scottante e degradante attualità, gestita purtroppo dalla malavita organizzata, che schiavizza creature deboli ed indifese. Il culto pubblico della Beata Ludovica possa darci un esempio trainante insieme al coraggio ed alla forza di lottare. Ella fu inoltre sostenitrice di una sana e costruttiva metodologia mirante non solo alla soluzione dei problemi materiali, ma soprattutto all'elevazione culturale dei poveri ed in particolare a quella delle ragazze che la mentalità del tempo, salvo eccezioni, escludeva dall'istruzione. Salvaguardare la dignità di ogni creatura costituiva il suo imperativo categorico. Un discorso anche questo riferibile all'odierno sottosviluppo che stride tremendamente con le grandi conquiste economiche e sociali del terzo millennio.

ESEMPIO NELLA CARITA' - Durante il nefando "Sacco di Roma" del 1527, la sua carità e I'impegno sociale divennero così estesi e luminosi da rimanere addirittura leggendari negli Annali della Città. "Tanta fu la sua carità verso i poveri di Cristo - scriveva P. Francesco Gonzaga - che nei pani da erogarsi a questi aveva cura di nascondere monete d'oro e d'argento, commettendo al Signore che si degnasse di curarne la distribuzione secondo le maggiori necessità di ciascuno".
"Ludovica Albertoni - aggiunge Ugo Ludovisi Boncompagni - per la vita che condusse, per la classe sociale alla quale apparteneva e più ancora per la santità, può considerarsi e tale fu ritenuta, la continuatrice dell'opera di Francesca Romana". Entrambe romane e nobili si prodigarono, senza riserve, in favore dei poveri e dei sofferenti, recando nel torbido Medioevo e nello splendido Rinascimento un messaggio di pace e di bontà. Medioevo e Rinascimento: due mondi di stridenti realtà. Trionfo dell'arte, della poesia, della letteratura, della filosofia, della diplomazia in un mare di ignoranza, di emarginazione, di servitù, di letali epidemie, di guerre e scandali. Queste discrepanze laceravano il cuore di Francesca Romana e di Ludovica Albértoni che cercavano risposte nella fede, nell'impegno, nella condivisione.

CONGEDO - Fu proprio durante il "Sacco di Roma" che si cominciò a chiamare Ludovica "madre dei poveri, degli afflitti, dei diseredati". E ancora "La mamma di Roma". E madre è rimasta per sempre. Quando, ormai sessantenne, si prevedeva prossima la sua fine, così rassicurava i poveri che disperati si stringevano intorno a lei: "Se sono stata per voi madre in vita, non sarò matrigna in morte". Si spense serenamente nel Signore il 31 gennaio del 1533 tra il dolore di prelati, magistrati e di una marea di popolo che piangenti si avvicendavano al suo capezzale. I funerali a San Francesco a Ripa, alla presenza di Autorità civili e religiose e di tutto il popolo di Roma, furono una vera apoteosi, specialmente quando si levò una corale, devota invocazione: “Beata Ludovica prega per noi!”.
Agata Buzzi, ofs