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Monumento a S. Caterina da Siena |
Per Papa Pacelli, eletto al soglio pontificio il 2 marzo 1939, i
tormentati rapporti tra Stato e Chiesa sono solo ormai un “brutto”
ricordo. E la lettura negativa che dà la Chiesa sul Risorgimento è acqua
passata (anche se a tutt’oggi alcuni ecclesiastici continuano ad avere
del periodo risorgimentale una visione nel complesso non positiva). Pio
XII, quindi, tra i primi atti del suo pontificato, decide di “regalare”
alla nazione italiana i suoi Patroni. È un passo importante. Significa
che ormai la Chiesa ha superato ogni titubanza e vede quindi l’Italia
nella sua unità e indivisibilità.
«Chi di noi invero potrebbe mai dubitare di non essere aiutato
giorno per giorno dal patrocinio dei Santi presso Dio, specialmente
quando, trovandosi in angustie si appoggia alla intercessione dei Santi,
invoca il Signore e sente subito che il Signore lo esaudisce? E questo
tanto più giustamente può dirsi di quel patrocinio, col quale i santi
proteggono le genti e le nazioni, specie quelle alle quali si sforzarono
in tanti modi e in tante particolari circostanze, di portare aiuto,
mentre essi ancora erano in terra, spinti dall’amore di Patria».
Queste le parole di Pio XII nel proclamare San Francesco e Santa
Caterina Patroni d’Italia. Una decisione – dice il Pontefice – presa
ascoltando le tante richieste dei vescovi che riportavano la volontà
degli stessi fedeli: «ora poi il signor Cardinale Carlo Salotti,
prefetto della Congregazione dei Riti, ci ha detto che gli arcivescovi
d’Italia, assecondando il comune desiderio dei fedeli, fanno voti e ci
rivolgono anzi supplici preci, affinché San Francesco d’Assisi e Santa
Caterina da Siena, vengano da noi dichiarati e costituiti Patroni
Primari d’Italia con l’intento di riaccendere l’avita pietà e farla
maggiormente crescere. A questi voti – continua il Papa – si aggiunge
anche l’amplissima commendatizia dello stesso porporato e perciò
considerate attentamente tutte le ragioni e le circostanze ben
volentieri abbiamo deciso di annuirvi». Nella scelta di Pio XII
decisivi sono stati i sentimenti della popolazione italiana. La vox
populi non sbaglia mai. Ed ha permesso di fare dono all’Italia unita,
come suoi Patroni, di due veri araldi del Vangelo.
Francesco stesso ama definirsi “araldo” del Vangelo. L’araldo,
fin dall’antichità, rappresenta una sorta di ambasciatore, un
funzionario che porta avanti gli interessi della corte. È spesso in
viaggio. Francesco fa lo stesso.
Egli, con i suoi fraticelli, gira il nostro Paese in lungo e in
largo, travalicando le Alpi e attraversando i mari. L’itineranza di
Francesco e dei frati è l’espressione del carattere apostolico e
missionario della fraternità. Con i suoi viaggi il Poverello d’Assisi
unisce già l’Italia nell’annuncio di una fede genuina, autentica,
libera, totalmente ispirata al Vangelo di Gesù Cristo in una lettura che
non ammette sconti, annotazioni a margine, interpretazioni creative,
aggiustamenti facili: una lettura che sia, in un’espressione, “sine
glossa”.
Nei suoi viaggi Francesco incarna la nota intraprendenza dei
mercanti di quel tempo (ricordiamo che la sua esistenza terrena si snoda
tra il 1182 ed il 1226). È l’Altissimo che sconvolge i piani
dell’esistenza. Da giovane Francesco aspira al cavalierato. Vagheggia le
armi della guerra, ma diventa un messaggero di pace; desidera ricchezze
e abiti sontuosi, ma si spoglia nudo per abbracciare Sorella Povertà;
sogna di conquistare persino il cielo ma poi è il Cielo che conquista
lui.
Il legame tra Francesco e l’Italia è ancor più stretto, sol se
si pensa al Cantico delle Creature, la preghiera di lode a Dio e alle
Sue creature composta dal Santo, molto probabilmente due anni prima
della sua morte.
«Altissimu, onnipotente bon Signore,/ Tue so’ le laude, la gloria et
l’honore et omne benedictione./ Ad Te solo, Altissimo, se konfano,/ et
nullu homo ène dignu te mentovare […]», con queste parole inizia per
l’appunto la tradizione letteraria italiana.
L’inno al Signore e alla
potenza della natura è scritto da Francesco in un volgare umbro, che
presenta, oltre a latinismi, anche influssi toscani e francesi. È il
primo esempio di lingua italiana. Ed è lo spartiacque che permette di
iniziare ad identificare, almeno sette secoli prima dall’Unità, una
nazione italiana che si comincia a ritrovare in un registro linguistico
comune. Il filosofo russo Solov’ëv (1853-1900) nella sua opera scrive
che «la giustificazione del bene sulle labbra di san Francesco, la
neonata lingua italiana esprime già sentimenti e idee di portata
universale, che sono ugualmente chiari per un buddhista e per un
cristiano».
Nel 1861 un’entità di popolo si sintetizza in unità politica, è
vero; ma «agli occhi del mondo gli italiani esistevano già […] e proprio
come italiani, da almeno sette secoli, erano oggetto di stima e di
ammirazione da parte di tutti gli altri popoli», come scrive il
cardinale Biffi nel suo “L’Unità d’Italia. Centocinquant’anni 1861-2011.
Contributo di un italiano cardinale ad una rievocazione multiforme e
problematica” (Cantagalli, 2011, p.56). Insomma gli italiani esistevano
già; esistevano da almeno sette secoli, appunto. Da quando per
l’appunto, nacque San Francesco.
San Francesco ricorda che il Vangelo può e deve essere vissuto
nella sua integrità. Le generazioni tutte guardano con ammirazione al
Poverello che è stato immagine visibile della presenza di Cristo.
È
un Santo tutto italiano. E la sua storia, snodata lungo i secoli di
storia della nostra patria, permette di evocare l’anima cristiana della
Penisola.
Un forte fattore di coesione per gli italiani è sempre
stata la fede cristiana. In Italia si è assistito ad una vera
inculturazione del messaggio evangelico. Il cristianesimo non è rimasto
“nascosto” nella coscienza dei singoli, ma è fiorito invece nella
società ed ha di sé impregnato i modi di pensare, gli assetti urbani e
le strutture istituzionali della nazione.
Nell’inculturazione del Vangelo non c’è dubbio che un influsso
determinante l’abbia avuto la spiritualità francescana che porta nella
Chiesa un’ondata di rinnovamento, di freschezza e di ritorno ai veri
valori evangelici. Ma, in particolare, con la grande opera di
evangelizzazione dei religiosi francescani l’ondata di rinnovamento è
sentita anche dalla popolazione rurale.
Non è difficile quindi
pensare al Patrono d’Italia come al padre generatore della coscienza
unitaria del Paese, come al simbolo per eccellenza del nuovo Stato
unitario.
Francesco incarna lo spirito dell’identità nazionale. È un Santo
che mette tutti d’accordo, senza distinzione di sorta. È un Santo che
unisce l’Italia con la forza della fede. È un Santo che parla una lingua
universale e che vive la sua avventura terrena in un periodo fatto di
libertà e di rinnovamento.
Francesco è un rivoluzionario. Cambia
l’Italia ed il mondo con le armi dell’amore e dell’umiltà. Molla tutto
per essere coerente con il Vangelo di Cristo. Ed oggi ci insegna ad
essere uomini di coesione di unità partendo proprio dalle peculiarità di
ciascuno di noi.
San Francesco è, quindi, uno dei padri della coscienza comune del
nostro Paese. E chissà se forse non sia il caso di festeggiare insieme
al 17 marzo, giorno di proclamazione nel 1861 dell’Unità d’Italia, e più
solennemente, anche il 4 ottobre, giorno del transito di San Francesco.
Così da non dimenticare un protagonista importante del nostro essere
Italia, il Poverello d’Assisi.
Per approfondire: L. M. GUZZO, Francesco d’Assisi e la
Costituzione Italiana. La minorità nella Carta Fondamentale della nostra
Repubblica, la rondine, Catanzaro, 2013.