Gli
apostoli sentono il bisogno di avere una fede più grande. Vicino a Gesù
capiscono che senza di essa non possono essere discepoli. E, d’altronde, tale è
la preziosità, il valore della fede, che ne basterebbe poca per fare miracoli.
Il Vangelo di oggi si apre con gli apostoli che chiedono a Gesù: “Aumenta la nostra fede!”. Anziché soddisfare il loro desiderio, Gesù sembra volerlo acuire. Dice:”Se aveste fede quanto un granellino di senapa…”. La fede è senza dubbio il tema dominante di questa domenica. Nella prima lettura si ascolta la celebre affermazione di Abacuc, ripresa da san Paolo nella Lettera ai Romani: “Il giusto vivrà per la sua fede”. Anche l’acclamazione al Vangelo è sintonizzata su questo tema: “Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv. 5,4).
La fede ha diverse sfumature di significato. Osserviamo la fede nella sua accezione più comune: se credere o meno in Dio. Non la fede, in base alla quale si decide se uno è cattolico o protestante, cristiano o musulmano, ma la fede, in base alla quale si decide se uno è credente o non credente o ateo. “Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano” (Ebrei 11,6). Questo è il primo gradino della fede, senza il quale non se ne danno altri.
Per parlare della fede a un livello così
universale non possiamo basarci soltanto sulla Bibbia, perché questo avrebbe
valore solo per noi cristiani,e, in parte, per gli ebrei, non per gli altri.
Per
nostra fortuna, Dio ha scritto due “libri”: uno è la Bibbia, l’altro è il
creato. Uno è composto di lettere e parole, l’altro di cose. Non tutti
conoscono o possono leggere il libro della Scrittura; ma tutti, da qualsiasi
latitudine e cultura, possono leggere
il libro che è il creato. “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue
mani annunzia il firmamento… Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai
confini del mondo la loro parola” (Salmo 19,5) Paolo afferma: “Dalla creazione
del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate
con l’intelletto nelle opere da lui compiute” (Romani 1,20).
Francisco de Holanda FIAT LUX De aetatibus mundi inagines mss 1545-1573 |
E’ assai diffuso, oggi, l’equivoco secondo cui la
scienza ha ormai liquidato il problema e spiegato è esaurientemente il mondo, senza
il bisogno di ricorrere all’idea di un essere al di fuori di esso, chiamato
Dio. Prendiamo la famosa teoria che spiega l’origine dell’universo con il Big
Bang, o la grande esplosione iniziale. In un miliardesimo di miliardesimo di
secondo, si passa da una situazione in cui non c’era ancora nulla, né spazio né
tempo, a una situazione in cui è cominciato il tempo, esiste lo spazio, e, in
una particella infinitesimale di materia, c’è già, in potenza, tutto il
successivo universo di miliardi di galassie, come lo conosciamo noi oggi.
Qualcuno dice che non ha senso porsi la domanda di
cosa c’era prima di quell’istante, perché non esiste un “prima”, quando ancora
non esiste il tempo. Ma come si fa a non porsi questa domanda. La scienza non
dovrebbe chiudere il cerchio, dando a credere che tutto è risolto.
Non si pretende di “dimostrare” l’esistenza di
Dio, nel senso che diamo comunemente a questa parola. Quando un raggio di sole
entra in una stanza, ciò che si vede non è la luce stessa, ma è la danza della
polvere che riceve e rivela la luce. Così è Dio: non lo vediamo direttamente,
ma come di riflesso, nella danza delle cose. Questo spiega perché Dio non si
raggiunge, se non compiendo il “salto”della fede.