CAMMINANDO NEL VANGELO / 28^ Domenica del T. O. (Lc 17,11 – 19) ANNO C - nel commento di Adelaide Rossi, ofs


La fede salva il lebbroso riconoscente. Anche gli altri sono guariti, ma sono occupati ad usufruire, senza rendere grazie della guarigione ricevuta. La guarigione è veramente perfetta se è riconoscimento di Cristo.

dieci lebbrosi furono guariti,
ma uno solo fu salvato
Mentre Gesù era in viaggio verso Gerusalemme, all’ingresso di un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi. Fermatisi a distanza, gridarono: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. Gesù si impietosì    e disse loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Durante il viaggio, i dieci lebbrosi si scoprirono tutti miracolosamente guariti. Anche la prima lettura riferisce di una guarigione miracolosa dalla lebbra: quella di Naaman Siro per opera del profeta Eliseo. E’ un’occasione per riflettere sul senso del miracolo e in particolare sul miracolo che consiste nella guarigione dalla malattia.
Innanzitutto possiamo affermare che la prerogativa di fare miracoli è tra le più attestate nella vita di Gesù.
Forse l’idea dominante che la gente si era fatta di Gesù era quella di un operatore di miracoli, più ancora che quella di un profeta. Gesù stesso presenta questo fatto come prova della autenticità messianica della sua missione: “I ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti sono risuscitati”(cfr.Mt. 11,5).
Non si può limare il miracolo dalla vita di Gesù, senza smagliare tutta la trama del Vangelo. Insieme con i racconti dei miracoli, la Scrittura ci offre anche i criteri per giudicare della loro autenticità e del loro scopo. Il miracolo non è mai, nella Bibbia, fine a se stesso; tanto meno deve servire ad innalzare chi lo compie e a mettere in luce i suoi poteri straordinari, come avviene sempre nel caso di guaritori e taumaturghi che fanno la pubblicità di se stessi. Esso è incentivo e premio della fede. E’ un segno e deve servire a elevare a un significato. Per questo Gesù si mostra così rattristato quando, dopo aver moltiplicato i pani, si accorge che non hanno capito di che cosa ciò era “segno”(cfr.  Mc.6,51).
Il miracolo appare, nel Vangelo stesso, come ambiguo. E’ visto ora positivamente, ora negativamente. Positivamente, quando esso è accolto con gratitudine e gioia, suscita fede in Cristo e apre alla speranza in un mondo futuro senza più né malattia né morte; negativamente, quando è richiesto, o addirittura preteso, per credere. “Quale segno fai, perché possiamo crederti?”(Gv. 6,30). Se non vedete segni e prodigi non credete” diceva con tristezza Gesù ai suoi ascoltatori (Gv. 4,48).
L’ambiguità continua anche nel mondo d’oggi. Da una parte c’è chi ricerca il miracolo a tutti i costi; è sempre a caccia di fatti straordinari. Sul versante opposto ci sono quelli che guardano al miracolo con un certo fastidio, come si trattasse di una manifestazione deteriore di religiosità, senza accorgersi che, in tal modo, si pretende di insegnare a Dio stesso cos’è religiosità e cosa no.
Alcuni recenti dibattiti suscitati dal “fenomeno Padre Pio” hanno messo in luce quanta confusione c’è ancora in giro circa il miracolo. Non è vero che la Chiesa considera miracolo ogni fatto inspiegabile. Considera miracolo solo quel fatto inspiegabile che, per le circostanze in cui avviene, riveste il carattere di segno divino, cioè di conferma data a una persona, o di risposta ad una preghiera.
I “laici”con il loro atteggiamento critico nei confronti dei miracoli danno un contributo prezioso alla stessa fede, perché rendono attenti alle falsificazioni facili in questo campo. Devono però, anch’essi       guardarsi da un atteggiamento acritico. E’ ugualmente sbagliato sia il credere a priori a tutto quello che viene spacciato come miracoloso, sia il rifiutare a priori tutto senza neppure darsi pena di esaminare le prove.

Adelaide Rossi, ofs