Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei continuare la presentazione di san
Tommaso d’Aquino, un teologo di tale valore che lo studio del suo pensiero è
stato esplicitamente raccomandato dal Concilio
Vaticano II in due documenti, il decreto Optatam
totius, sulla formazione al sacerdozio, e la dichiarazione Gravissimum
educationis, che tratta dell’educazione cristiana. Del resto,
già nel 1880 il Papa Leone XIII,
suo grande estimatore e promotore di studi tomistici, volle dichiarare san
Tommaso Patrono delle Scuole e delle Università Cattoliche. Il motivo principale di questo apprezzamento
risiede non solo nel contenuto del suo insegnamento, ma anche nel metodo da lui
adottato, soprattutto la sua nuova sintesi e distinzione tra filosofia e
teologia.
I Padri della Chiesa si trovavano confrontati con diverse filosofie di tipo platonico, nelle quali si presentava una visione completa del mondo e della vita, includendo la questione di Dio e della religione. Nel confronto con queste filosofie, loro stessi avevano elaborato una visione completa della realtà, partendo dalla fede e usando elementi del platonismo, per rispondere alle questioni essenziali degli uomini. Questa visione, basata sulla rivelazione biblica ed elaborata con un platonismo corretto alla luce della fede, essi la chiamavano la "filosofia nostra". La parola "filosofia" non era quindi espressione di un sistema puramente razionale e, come tale, distinto dalla fede, ma indicava una visione complessiva della realtà, costruita nella luce della fede, ma fatta propria e pensata dalla ragione; una visione che, certo, andava oltre le capacità proprie della ragione, ma che, come tale, era anche soddisfacente per essa.
I Padri della Chiesa si trovavano confrontati con diverse filosofie di tipo platonico, nelle quali si presentava una visione completa del mondo e della vita, includendo la questione di Dio e della religione. Nel confronto con queste filosofie, loro stessi avevano elaborato una visione completa della realtà, partendo dalla fede e usando elementi del platonismo, per rispondere alle questioni essenziali degli uomini. Questa visione, basata sulla rivelazione biblica ed elaborata con un platonismo corretto alla luce della fede, essi la chiamavano la "filosofia nostra". La parola "filosofia" non era quindi espressione di un sistema puramente razionale e, come tale, distinto dalla fede, ma indicava una visione complessiva della realtà, costruita nella luce della fede, ma fatta propria e pensata dalla ragione; una visione che, certo, andava oltre le capacità proprie della ragione, ma che, come tale, era anche soddisfacente per essa.
Per san Tommaso l'incontro con la filosofia
pre-cristiana di Aristotele (morto circa nel 322 a.C.) apriva una prospettiva
nuova. La filosofia aristotelica era, ovviamente, una filosofia elaborata senza
conoscenza dell’Antico e del Nuovo Testamento, una spiegazione del mondo senza
rivelazione, per la sola ragione. E questa razionalità conseguente era
convincente. Così la vecchia forma della "filosofia nostra" dei Padri
non funzionava più. La relazione tra filosofia e teologia, tra fede e ragione,
era da ripensare.
Esisteva una "filosofia" completa e convincente in
se stessa, una razionalità precedente la fede, e poi la “teologia”, un pensare
con la fede e nella fede. La questione pressante era questa: il mondo della
razionalità, la filosofia pensata senza Cristo, e il mondo della fede sono compatibili?
Oppure si escludono?
Non mancavano elementi che affermavano l'incompatibilità
tra i due mondi, ma san Tommaso era fermamente convinto della loro
compatibilità - anzi che la filosofia elaborata senza conoscenza di Cristo
quasi aspettava la luce di Gesù per essere completa. Questa è stata la grande
“sorpresa” di san Tommaso, che ha determinato il suo cammino di pensatore.
Mostrare questa indipendenza di filosofia e teologia e, nello stesso tempo, la
loro reciproca relazionalità è stata la missione storica del grande maestro. E
così si capisce che, nel XIX secolo, quando si dichiarava fortemente
l'incompatibilità tra ragione moderna e fede, Papa Leone XIII (Gioacchino Pecci, 20/1/1878-20/7/1933) indicò san Tommaso come guida nel dialogo tra l'una e l'altra.
Nel suo lavoro
teologico, san Tommaso suppone e concretizza questa relazionalità. La fede
consolida, integra e illumina il patrimonio di verità che la ragione umana
acquisisce.
La fiducia che san Tommaso accorda a questi due strumenti della
conoscenza – la fede e la ragione – può essere ricondotta alla convinzione che
entrambe provengono dall’unica sorgente di ogni verità, il Logos divino,
che opera sia nell’ambito della creazione, sia in quello della redenzione. Insieme con l'accordo tra ragione e fede, si deve
riconoscere, d'altra parte, che esse si avvalgono di procedimenti conoscitivi
differenti. La ragione accoglie una verità in forza della sua evidenza
intrinseca, mediata o immediata; la fede, invece, accetta una verità in base
all’autorità della Parola di Dio che si rivela. Scrive san Tommaso al principio
della sua Summa Theologiae: “Duplice è l’ordine delle scienze; alcune
procedono da principi conosciuti mediante il lume naturale della ragione, come
la matematica, la geometria e simili; altre procedono da principi conosciuti
mediante una scienza superiore: come la prospettiva procede da principi
conosciuti mediante la geometria e la musica da principi conosciuti mediante la
matematica. E in questo modo la sacra dottrina (cioè la teologia) è scienza
perché procede dai principi conosciuti attraverso il lume di una scienza
superiore, cioè la scienza di Dio e dei santi” (I, q. 1, a. 2).
Questa distinzione assicura l’autonomia tanto
delle scienze umane, quanto delle scienze teologiche. Essa però non equivale a
separazione, ma implica piuttosto una reciproca e vantaggiosa collaborazione.
La fede, infatti, protegge la ragione da ogni tentazione di sfiducia nelle
proprie capacità, la stimola ad aprirsi a orizzonti sempre più vasti, tiene
viva in essa la ricerca dei fondamenti e, quando la ragione stessa si applica
alla sfera soprannaturale del rapporto tra Dio e uomo, arricchisce il suo
lavoro. Secondo san Tommaso, per esempio, la ragione umana può senz’altro
giungere all’affermazione dell’esistenza di un unico Dio, ma solo la fede, che
accoglie la Rivelazione divina, è in grado di attingere al mistero dell’Amore
di Dio Uno e Trino.
D’altra parte, non è soltanto la fede che aiuta
la ragione. Anche la ragione, con i suoi mezzi, può fare qualcosa di importante
per la fede, rendendole un triplice servizio che san Tommaso riassume nel
proemio del suo commento al De Trinitate di Boezio: “Dimostrare i
fondamenti della fede; spiegare mediante similitudini le verità della fede; respingere
le obiezioni che si sollevano contro la fede” (q. 2, a. 2).
Tutta la storia
della teologia è, in fondo, l’esercizio di questo impegno dell’intelligenza,
che mostra l’intelligibilità della fede, la sua articolazione e armonia
interna, la sua ragionevolezza e la sua capacità di promuovere il bene
dell’uomo. La correttezza dei ragionamenti teologici e il loro reale
significato conoscitivo si basano sul valore del linguaggio teologico, che è,
secondo san Tommaso, principalmente un linguaggio analogico. La distanza tra
Dio, il Creatore, e l'essere delle sue creature è infinita; la dissimilitudine
è sempre più grande che la similitudine (cfr DS 806). Ciononostante, in
tutta la differenza tra Creatore e creatura, esiste un'analogia tra l'essere
creato e l'essere del Creatore, che ci permette di parlare con parole umane su
Dio.
San Tommaso ha fondato la dottrina dell’analogia,
oltre che su argomentazioni squisitamente filosofiche, anche sul fatto che con
la Rivelazione Dio stesso ci ha parlato e ci ha, dunque, autorizzato a parlare
di Lui.
Ritengo importante richiamare questa dottrina. Essa, infatti, ci aiuta
a superare alcune obiezioni dell’ateismo contemporaneo, il quale nega che il
linguaggio religioso sia fornito di un significato oggettivo, e sostiene invece
che abbia solo un valore soggettivo o semplicemente emotivo. Questa obiezione
risulta dal fatto che il pensiero positivistico è convinto che l'uomo non
conosce l'essere, ma solo le funzioni sperimentabili della realtà. Con san
Tommaso e con la grande tradizione filosofica noi siamo convinti, che, in
realtà, l'uomo non conosce solo le funzioni, oggetto delle scienze naturali, ma
conosce qualcosa dell'essere stesso - per esempio conosce la persona, il Tu
dell'altro, e non solo l'aspetto fisico e biologico del suo essere.
Alla luce di questo insegnamento di san Tommaso,
la teologia afferma che, per quanto limitato, il linguaggio religioso è dotato
di senso - perché tocchiamo l’essere -, come una freccia che si dirige
verso la realtà che significa. Questo accordo fondamentale tra ragione umana e
fede cristiana è ravvisato in un altro principio basilare del pensiero
dell’Aquinate: la Grazia divina non annulla, ma suppone e perfeziona la natura
umana. Quest’ultima, infatti, anche dopo il peccato, non è completamente
corrotta, ma ferita e indebolita. La Grazia, elargita da Dio e comunicata
attraverso il Mistero del Verbo incarnato, è un dono assolutamente gratuito con
cui la natura viene guarita, potenziata e aiutata a perseguire il desiderio
innato nel cuore di ogni uomo e di ogni donna: la felicità. Tutte le facoltà
dell’essere umano vengono purificate, trasformate ed elevate dalla Grazia
divina.
Un’importante applicazione di questa relazione
tra la natura e la Grazia si ravvisa nella teologia morale di san Tommaso
d’Aquino, che risulta di grande attualità. Al centro del suo insegnamento in
questo campo, egli pone la legge nuova, che è la legge dello Spirito Santo. Con
uno sguardo profondamente evangelico, insiste sul fatto che questa legge è la
Grazia dello Spirito Santo data a tutti coloro che credono in Cristo. A tale
Grazia si unisce l’insegnamento scritto e orale delle verità dottrinali e
morali, trasmesso dalla Chiesa. San Tommaso, sottolineando il ruolo
fondamentale, nella vita morale, dell’azione dello Spirito Santo, della Grazia,
da cui scaturiscono le virtù teologali e morali, fa comprendere che ogni
cristiano può raggiungere le alte prospettive del “Sermone della Montagna” se
vive un rapporto autentico di fede in Cristo, se si apre all’azione del suo
Santo Spirito.
Però – aggiunge l’Aquinate – “anche se la grazia è più efficace
della natura, tuttavia la natura è più essenziale per l’uomo” (Summa
Theologiae, I-II, q. 94, a. 6, ad 2), per cui, nella prospettiva morale
cristiana, c’è un posto per la ragione, la quale è capace di discernere la
legge morale naturale. La ragione può riconoscerla considerando ciò che è bene
fare e ciò che è bene evitare per il conseguimento di quella felicità che sta a
cuore a ciascuno, e che impone anche una responsabilità verso gli altri, e,
dunque, la ricerca del bene comune. In altre parole, le virtù dell’uomo,
teologali e morali, sono radicate nella natura umana. La Grazia divina
accompagna, sostiene e spinge l’impegno etico ma, di per sé, secondo san
Tommaso, tutti gli uomini, credenti e non credenti, sono chiamati a riconoscere
le esigenze della natura umana espresse nella legge naturale e ad ispirarsi ad
essa nella formulazione delle leggi positive, quelle cioè emanate dalle
autorità civili e politiche per regolare la convivenza umana.
Quando la legge naturale e la responsabilità che
essa implica sono negate, si apre drammaticamente la via al relativismo etico
sul piano individuale e al totalitarismo dello Stato sul piano politico. La
difesa dei diritti universali dell’uomo e l’affermazione del valore assoluto
della dignità della persona postulano un fondamento. Non è proprio la legge
naturale questo fondamento, con i valori non negoziabili che essa indica? Il
Venerabile Giovanni Paolo II scriveva nella sua Enciclica Evangelium
vitae parole che rimangono di grande attualità: “Urge dunque, per
l'avvenire della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire
l'esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono
dalla verità stessa dell'essere umano, ed esprimono e tutelano la dignità della
persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno
Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo
riconoscere, rispettare e promuovere” (n. 71).
In conclusione, Tommaso ci propone un concetto
della ragione umana largo e fiducioso: largo perché non è limitato agli
spazi della cosiddetta ragione empirico-scientifica, ma aperto a tutto l’essere
e quindi anche alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano; e
fiducioso perché la ragione umana, soprattutto se accoglie le
ispirazioni della fede cristiana, è promotrice di una civiltà che riconosce la
dignità della persona, l'intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi
doveri. Non sorprende che la dottrina circa la dignità della persona,
fondamentale per il riconoscimento dell’inviolabilità dei diritti dell’uomo,
sia maturata in ambienti di pensiero che hanno raccolto l’eredità di san
Tommaso d’Aquino, il quale aveva un concetto altissimo della creatura umana. La
definì, con il suo linguaggio rigorosamente filosofico, come “ciò che di più
perfetto si trova in tutta la natura, cioè un soggetto sussistente in una
natura razionale” (Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 3).
La profondità del pensiero di san Tommaso
d’Aquino sgorga – non dimentichiamolo mai – dalla sua fede viva e dalla sua
pietà fervorosa, che esprimeva in preghiere ispirate, come questa in cui chiede
a Dio: “Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti
trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e
una fiducia che alla fine giunga a possederti”.