Francesco secondo Alda Merini


«IL CANTO FRANCESCANO DI ALDA, DALLE VOLUTE SIMILI ALL'INCENSO DI UNA LITURGIA O AI RITMI REITERATI, MAI PERÒ IDENTICI, DI UNA MELOPEA ORIENTALE, SEGUE UNA TRAMA COERENTE CHE AFFIORA PROGRESSIVAMENTE DI PAGINA IN PAGINA. È QUELLA DELLA STESSA AGIOGRAFIA, OSSIA DELLA VITA DEL SANTO, COSÌ DA DARE AL LETTORE L'IMPRESSIONE DI ESSERE DI FRONTE A UNA LIBERA RIPRESA POETICA DELLA LEGENDA DI SAN FRANCESCO, DOPO LA MAIOR DI S. BONAVENTURA...». Gianfranco Ravasi


Alda Merini, una delle voci più autentiche
della nostra letteratura ci ha lasciati.
La ricordiamo riproponendo un tributo a lei
dedicato lo scorso anno su Squilla Francescana


«Canto di una creatura»
san Francesco nei versi di Alda Merini 

La poetessa Alda Merini, temprata dall’esperienza di un lungo ricovero in una casa di salute mentale, ha scritto vari volumetti di poesia a carattere religioso. L’ultima delle sue “fatiche” è dedicata a S. Francesco. Riportiamo qui alcuni versi, che gettano una luce nuova sul poverello di Assisi: 

“Dio, come sono diventato cieco / 
dopo tanti sguardi d’amore: / 
non vedo più nulla, / oppure vedo troppo, / 
oppure sono così accecato dal sole / 
che non posso non / stendere un tappeto / 
per questa valanga rutilante di fede”.

O ancora (qui stiamo invece a circa metà del volumetto): 

“Io mi sento abbandonato / da te. Signore, / 
come colui che si fa attendere / troppo a lungo,/ 
come l’innamorato / che fa vibrare / 
le corde del suo silenzio. / 
Che ne è di quell’orrendo batiscafo / 
che sono le mie parole? / 
Che ne è di quella nave senza timone / 
che è il mio sguardo?”.

Rilettura di un’esperienza mistica straordinaria e intime rispondenze autobiografiche sembrano intrecciarsi fecondamene in questa nuova opera dell’autrice milanese. Con, al fondo, l’idea che sia possibile cantare il dolore, nota costante della poesia di Alda Merini.
Cesare Catarinozzi, ofs




PASSIONALITÀ D’ACCENTO
E VERTIGINE DELL’ASSOLUTO


“ … LIUTO DI DIO”, “… POVERA CHIOSA”, 
“ … PRIMO ARTIGIANO”; 
E ANCORA: “MENTECATTO”, “SERVITORE”, 
“ELEMOSINIERE”; E “CAMMELLO” E “BIADA”; 
INFINE, RIFERENDOSI A CRISTO, “ … PONTE BUTTATO 
TRA LA TUA NASCITA E LA TUA RESURREZIONE”.

Questo dice di sé Francesco 
nell’omonimo canto poetico a lui dedicato da Alda Merini 
(Canto di una creatura, Milano, Frassinelli, 2007, pp. 142, € 14,00), 
una delle più forti voci della letteratura italiana dei giorni nostri.




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Francesco è un affamato di Dio - scrive l’autrice presentando il suo libro - ha fame della beatitudine (...). La sua vita è un tripudio di fiori, d’uccelli, d’incantesimi: è come un bambino che scopre la vita per la prima volta”.
Incalcolabile il numero delle occasioni artistiche e letterarie che hanno per oggetto il santo d’Assisi e questa odierna è una dimostrazione d’amore mistico che la poetessa milanese nutre per lui, dentro la quale monsignor Gianfranco Ravasi, in pagine di suscitante prefazione, coglie “…volute simili all’incenso di una liturgia».
Mentre ripercorre, per intermittenti prorompenze di luce, i più determinanti momenti di vita di Francesco, la Merini ne anima via via la progressiva e totale offerta a Dio. Dalla gioventù di violenza e peccato all’aspro conflitto con il padre ser Bernardone, dalla drammatica rinuncia a ogni bene e avere all’abbraccio assoluto della pazzia della croce, nei versi del suo poemetto l’autrice fa parlare Francesco in prima persona, soluzione formale di magnetico coinvolgimento, quasi una spirituale gravitazione che ha fatto nei secoli e ancora potrebbe fare di Francesco un invidiabile, e per molti anche un vagheggiato fratello. Quando sul suo corpo cala il misterioso martirio delle stigmate, il suo animo proclama a più forte voce quella incredibile «perfetta letizia» che nella sua realtà è sì «morte a se stesso», ma anche «unguento» per le ferite di Cristo.

«Ma un giorno, / un giorno, Signore, tu mi hai dato di più:
mi hai dato il dolore dei tuoi chiodi,
hai sconfitto e trafitto le mie carni
mi hai fatto morire con te sulla croce».

San Francesco salta a pie’ pari tutte le asperità terrene facendone stupefacenti, sovnnnane dolcezze a cominciare dal saio indossato davanti al padre e rifiutando il suo oro, «metallo d’avarizia», per quel sacco che diventerà tunica luminosa

«Non ho mai sentito / l’asperità di questo tessuto,
ma odorava di fresco,
adorava di mattino,
odorava di resurrezione».

Sarà nudo e solo anima. Poi si ritirerà, si isolerà, si farà piccolo, ma “grande come la voce di Dio”. Sarà puro in una carne che canterà “la reclusione dei sensi”; guerriero senza cavallo verso il traguardo di Dio, sognerà una “morte angelica, / sorella dai mille volti”, morte come “vergine leggiadra”, “danzatrice meravigliosa”, e infine sorella. Ma anche madre che conosce la sua vera anima, “che prende il figlio diletto della ragione/ e lo depone sulle labbra del Creatore”.

Francesco è il restauratore della chiesa (chi non ha presente quella sua immagine di sostenitore d’un pericolante tempietto in rovina?). E una creatura di luce e di fuoco che ha il coraggio di definirsi “servo inutile”. E l’uomo dalla febbrile, incondizionata purezza, e santo chiaro, semplice, dolce: un altro Cristo dalla sconvolgente vocazione, dalla serena, addirittura gioiosa sopportazione di tutte le pene. E un poco miracolosa è di conseguenza poesia della Merini, che su questa inusitata tensione opera con lievità di scrittura, tenendo in equilibrio quella sua nota passionalità d’accento con la vertigine dell’assoluto, detta a chiare lettere e con incisivo nitore.

«Anch’io - dice Francesco -ho avuto / un’annunciazione, anch’io ho avuto / una lunga gravidanza di fede...». Ma quando ha baciato le piaghe altrui, non si aspettava ancora che un giorno Cristo avrebbe baciato le sue portandole nei cieli. Ha donato senza risparmio, sentendosi l’uomo più ricco della terra, mentre in realtà era il più inatteso e il più solo; s’è fatto tappeto per il Calvario e non s’è stancato di camminare lui stesso, per tutte le strade, per arrivare a Lui. Le sue tribolazioni, Francesco le ha sempre viste come minimo prezzo per il massimo compenso: questo fa la sua grandezza d’uomo e di santo. Uomo senza attese e santo senza pretese.

«Ho sentito i lamenti delle tue mani,
Forrore e lo spavento della tua morte.
Come sono io più fortunato,
che ho ricevuto il vangelo
direttamente da te
e l’ordine di cantare
le tue ferite».

* Claudio Toscani
Osservatore Romano