GIOVANNI POZZI: IL SILENZIO DEI LIBRI - a 90'anni dalla nascita del cappuccino svizzero Giovanni Pozzi, uno degli ultimi umanisti.



Credevano i babilonesi che gli dèi avessero inviato sulla terra il diluvio perché infastiditi dal chiacchiericcio degli uomini. Oggi manderebbero ben altro che diluvi».

A novant’anni dalla nascita del cappuccino svizzero, grande filologo ed erudito, successore a Friburgo di Contini e di Billanovich, la trascrizione della sua ultima apparizione televisiva: una difesa appassionata delle pagine scritte, capaci di «esprimere tacendo la bellezza e il mistero del mondo» Indagò anche i calligrammi secenteschi di chierici creduti oziosi, scoprendo gli incunaboli della poesia visiva d’avanguardia «Siamo così oppressi da una pesante cappa di rumori e suoni che, come dicevano i babilonesi, ci vorrebbe un diluvio anti-chiacchiericcio»
 
«Per ascoltare occorre tacere» invita uno degli ultimi umanisti del nostro tempo, il francescano Giovanni Pozzi da Locarno, in una plaquette fuori commercio stampata pochi mesi prima di quell’estate del 2002 in cui il filologo svizzero deve rinunciare alle sue giornate nel silenzio della natura e dei libri tanto amati per compiere il suo ultimo viaggio nel silenzio di Dio. Fin da ragazzo la dimensione del silenzio lo coinvolge: Paolo, come i genitori lo chiamano quando nasce il 20 giugno di novant’anni fa, entra appena undicenne nel convento dei frati minori di Faido, per proseguire gli studi a Cesena. Qui prende i voti con il nome di Giovanni ed è ordinato sacerdote all’indomani del secondo conflitto mondiale. Per lui «il mondo è oppresso da una pesante cappa di parole, suoni e rumori.

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Credevano i babilonesi che gli dèi avessero inviato sulla terra il diluvio perché infastiditi dal chiacchiericcio degli uomini. Oggi manderebbero ben altro che diluvi». Perciò questo cappuccino umanista, «degno confratello, nel fisico e nel portamento» del manzoniano padre Cristoforo «con la sua dolcezza mansueta e la fierezza del suo sdegno», ha come missione controcorrente l’ascolto sommo e lo studio critico dei segni silenziosi delle parole e delle immagini della tradizione, che diventano tracce da seguire lungo un cammino indagatore. I suoi
Metodi e temi della ricerca filologia e letteraria saranno presto messi a fuoco in un volume delle Edizioni del Galluzzo a cura di Fernando Lepori, al quale si deve una bibliografia in mortem sull’ultimo numero di «Fogli», la rivista di quella Biblioteca Salita dei Frati di Lugano fortemente voluta da padre Pozzi. Aperta nel 1980 in un edificio di Mario Botta costruito a lato del convento, con 110mila volumi originari, vanta un cospicuo fondo pozziano con diecimila libri e quasi cinquemila estratti contraddistinti dalla sigla «FP», di cui un buon lotto di autori secenteschi rari che sono una testimonianza dell’eredità di un appassionato delle parole e della Parola.
Dapprima assistente di Billanovich in filologia romanza all’Università Cattolica di Milano, inizia il suo magistero all’università di Friburgo, cuneo cattolico fra cantoni protestanti, dove insegna letteratura italiana dal 1960 al 1988 e rivitalizza la filologia critica lì impostata negli anni a cavallo della guerra dal giovanissimo Gianfranco Contini, e poi da Billanovich, la coppia esemplare dei suoi maestri. Celebri nell’ambiente degli addetti ai lavori diventano le estati a Bigorio nei seminari con colleghi e amici come Dionisotti, Raimondi, Isella, Segre e – tra gli altri – Maria Corti che ricorda la «calda, illuminante interdisciplinarità» nel contesto conventuale: «Si dormiva in celle con finestrelle che davano sulla vallata, Al mattino, abbastanza presto, dalle fessure in metallo nei muri uscivano note di musica classica con funzione di dolcissima sveglia». È il suo ambiente privilegiato perché, come scrive, «la cella e il libro sono le stanze della solitudine e del silenzio».

Da qui partono i suoi viaggi letterari nei grandi universi classici,
dall’Umanesimo al Seicento, ampi come quelli nelle regioni interiori rielaborate dentro i labirinti dell’erudizione ma sempre alla ricerca dell’Assoluto. La sua critica è fatta di scavo e interdisciplinarità; emblematico è il titolo La rosa in mano al professore del 1974, indagine del simbolismo rappresentato dalla rosa e delle sue metamorfosi nelle fonti classiche e nei testi letterari fino al Marino, dove le discipline, tra arte, teologia e poesia si mettono insieme all’ascolto di «interlocutori che parlano, ed esprimono la bellezza e il mistero del mondo, tacendo». Incontra bellezza e mistero nel capolavoro del libro rinascimentale, l’ Hypnerotomachia Poliphili stampato nel 1499 dal primo editore della storia, il veneziano Manuzio: di questo romanzo allegorico scritto in un volgare «violentemente latineggiante» padre Pozzi cura un’edizione basilare dando al frate domenicano Francesco Colonna la paternità dell’opera. Intanto nel Barocco coltiva una ricerca dedicata all’iconologia letteraria, di cui è frutto il volume che Adelphi stampa nel 1981 con il titolo La parola dipinta: come ha notato Pietro Gibellini, «indaga calligrammi secenteschi di chierici creduti oziosi e scopre gli incunaboli della poesia visiva d’avanguardia». La pittura è definita «silenzio eloquente», come avviene nelle tavole lignee degli ex voto nel Canton Ticino, esempi della devozione e dell’arte popolare trattate con la stessa serietà delle collazioni filologiche. La musica è un altro linguaggio che affascina questo francescano di oggi che sceglie di vivere tra i classici: «La si ascolta pienamente quando tutto tace intorno a noi e dentro di noi. Modo più perfetto, a occhi chiusi».

Ecco perché sceglie un termine della musica medioevale,
E Alternatim , per un titolo del 1996 che avvicenda analisi verbali e tematiche, attento all’influsso del linguaggio religioso sulla comunicazione umana, trattato in Grammatica e retorica dei santi edito da Vita e Pensiero. Attirato poi dal linguaggio che diventa mistico, illumina come pochi quelle «figure linguistiche di frontiera» registrate nell’antologia Scrittrici mistiche italiane allestita con Claudio Leonardi: è il punto di fusione tra sentimento letterario e tensione religiosa, cielo e terra che si toccano nelle sue pagine senza ricerca di proselitismi, perché «se la tenebra e il silenzio di san Giovanni della Croce equivalevano a un massimo di presenza divina, silenzio e tenebra saranno per Mallarmé il segno della sua morte». Fino alle 'letture al caminetto' raccolte postume da Medusa col titolo In forma di parole , ogni libro scritto o studiato da padre Pozzi è «colmo di parole, tace» perché contiene quella parola, che è dell’uomo e di Dio, «pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita».

di Roberto Cicala
da Avvenire - 9 giugno 2013