Nell’anno del Signore 1206 Francesco era un giovanotto di circa
ventidue anni. Se pensiamo ad un coetaneo
dei nostri giorni , ad un figlio magari o ad un amico, ci rendiamo conto che a
quei tempi si cresceva più in fretta, si affrontavano prima le grandi
responsabilità della vita, si era già uomini
e maturi in un arco di tempo decisamente più breve di quanto la nostra
gioventù possa oggi immaginare.
Nonostante la sua età, Giovanni , figlio di Bernardone, detto “ il
francese “ a causa dei numerosi viaggi che il padre compiva in quella regione a
motivo dei suoi commerci e per l’educazione ricevuta dalla madre di origine
provenzale, aveva già vissuto con intensità alcune tappe fondamentali della
storia di Assisi ed assaporato gioie e dolori di un’infanzia spensierata finita
troppo presto nelle carceri di Perugia. Minato nel corpo da una misteriosa
malattia contratta proprio durante quella prigionia, guarito ma non troppo e
forse più ferito nell’anima che nel fisico, Francesco aveva visto sgretolarsi
nell’arco di pochissimi anni le poche sicurezze che lo avevano accompagnato
durante la sua formazione nella casa paterna.
Primo fra tutti il sogno di conquistarsi uno status sociale più elevato
, la gloria del cavaliere , e il trionfo tramite la potenza delle armi. Una
sensazione di vuoto e di sgomento si insinuava tra le macerie delle proprie
ambizioni e non trovava pace perché nè i genitori, né gli amici, né qualche
nobile e potente signore, era riuscito a
colmare il suo intimo desiderio di pienezza e di senso.
Fu allora , nel
momento in cui l’orizzonte delle sue ambizioni terrene si era dissolto, nel
momento in cui nessuno sembrava in grado di indicargli una strada che lo
conducesse a realizzarsi nella vita, nel
momento in cui nessuno gli diceva cosa dovesse fare, proprio allora decise di rivolgersi a Dio, al Signore di
tutti i signori. E pregando, invocando, supplicando decise di farsi mendicante,
prima nell’’anima, perché il senso della sua vita , solo allora lo stava
comprendendo, poteva essergli “ donato “
soltanto su sua umile ed incessante richiesta. Un mendicante affamato di
vita e di significato che bussava testardo ed ostinato alla porta di Cristo.
Fu a Cristo che si rivolse , a lui chiese
spiegazioni ed ai suoi legittimi rappresentanti in Terra. Molti a quei tempi
preferivano seguire vie più facili ma presto si allontanavano dalla strada
giusta finendo in poco tempo ad ingrossare le fila dei movimenti ereticali. Non
così Francesco, che se pur giovane, non rinunciò mai a percorrere i sentieri
più impervi e faticosi dell’ortodossia. Sono noti i suoi ottimi rapporti col
vescovo di Assisi e con i suoi preti di campagna. Ma prima ancora di ricorrere
al Vescovo egli pensò bene di recarsi in pellegrinaggio a Roma dove avrebbe
potuto pregare agevolmente lo stesso Principe degli Apostoli.
Così recita una bella orazione di S. Ambrogio:
Cristo è tutto per noi.
Se vuoi curare una ferita, egli è medico;
se sei riarso dalla febbre, è fontana;
se sei oppresso dall’iniquità, è giustizia;
se hai bisogno di aiuto, è forza;
se temi la morte, è vita;
se desideri il cielo, è via;
se fuggi le tenebre, è luce;
se cerchi cibo, è alimento.
Se vuoi curare una ferita, egli è medico;
se sei riarso dalla febbre, è fontana;
se sei oppresso dall’iniquità, è giustizia;
se hai bisogno di aiuto, è forza;
se temi la morte, è vita;
se desideri il cielo, è via;
se fuggi le tenebre, è luce;
se cerchi cibo, è alimento.
Forse Francesco
non conosceva questi versi di Sant’Ambrogio, ma ne condivise pienamente lo
spirito.
Nei primi anni
del XIII secolo Roma era molto diversa da come possiamo figurarcela noi oggi. E
soprattutto non era affatto la grande metropoli che conosciamo tutti. Invasioni, epidemie e pessime condizioni di
vita avevano ridotto l’antica capitale dell’Impero Romano che ai tempi di
Augusto vantava quasi un milione di cittadini, in un piccolo centro con una
popolazione di certo inferiore agli ottantamila abitanti. Questa infatti, da
molto tempo ormai , aveva abbandonato la
città per rifugiarsi nelle campagne o sulle alture fortificate meglio protette,
portando a compimento quel processo di ruralizzazione e di abbandono dei centri
urbani iniziato già nel V secolo d.C.
I domini delle grandi famiglie
occupavano zone diverse della città, dove queste risiedevano in dimore
fortificate e dominate da torri, che costituivano con la loro altezza un segno
di ricchezza e potenza. Tra di esse i Conti di Tuscolo (Quirinale, dove furono
quindi rimpiazzati dai Colonna) e i Crescenzi (rioni Ponte e Parione, dove in
seguito ebbero sede gli Orsini), i Frangipane (Palatino e
Colosseo) e i Pierleoni (rione Ripa,
isola Tiberina e Trastevere), e in seguito i Conti di Segni (Viminale), i Savelli (Aventino e
rione Ripa), i Caetani (Quirinale e
isola Tiberina), gli Annibaldi (Colosseo ed Esquilino) e i Capocci (Viminale). Qua
e là tra i ruderi delle antiche vestigia imperiali si ergevano invece
chiese, basiliche e monasteri.
La stessa Basilica di San Pietro, dove,
secondo la storia , Francesco si recò pellegrino scambiando i suoi preziosi
abiti con quelli d’un povero, era quella fatta costruire dall’imperatore
Costantino nel IV secolo d.C. Dimentichiamoci dunque quella odierna con la cupola di Michelangelo , la piazza
rotonda ed il colonnato che imponente, sembra abbracciare il visitatore. La sua
costruzione fu lunga e laboriosa, iniziando
nel 1452 per concludersi definitivamente
nel 1626 quando fu consacrata da Urbano VIII. Non questo videro gli occhi di Francesco ma
una struttura sensibilmente più piccola, pur nella sua maestà rapportata agli
edifici dell’epoca, una basilica con ben cinque navate, sul modello di
quella del Laterano.
Per avere un’idea di come questa
basilica apparisse in quel periodo, il luogo migliore da visitare é la chiesa
di San Paolo Fuori le Mura. Vi sono alcune differenze fra queste due
costruzioni, ma é possibile capire quanto fosse grande una chiesa con cinque
navate e come potesse funzionare ecumenicamente. Nell’immenso transetto di San Pietro, i
pellegrini potevano radunarsi per venerare i grandi Apostoli, le cui reliquie
giacevano sotto un baldacchino sistemato sopra quattro colonne attorcigliate di
bronzo, davanti all’abside. Di fronte alla basilica vi era un atrio, con una
fontana a forma di un cono di pino dove molti mendicanti e poveri chiedevano
l’elemosina. La facciata aveva ricche decorazioni in mosaico, mostrando il
simbolo di Cristo con gli Apostoli. La navata era lunga 91 metri e terminava in
un arco trionfale, con mosaici che mostravano Costantino che donava la
basilica. Al di là, l’abside aveva un mosaico in cui erano raffigurati il
Cristo con Pietro e Paolo e sulle pareti della navata vi erano affreschi che mostravano
scene dalla Bibbia e ritratti dei Papi.
Ecco come le Fonti francescane raccontano
l’episodio:
VESTITO DA
POVERO, MANGIA CON I POVERI
DAVANTI ALLA
CHIESA DI SAN PIETRO
2Cel
8 FF 589
8. Fino da allora dimostrava di
amare intensamente i poveri e questi inizi lodevoli lasciavano prevedere cosa
sarebbe stato, una volta giunto a perfezione. Spesso si spogliava per
rivestire i poveri, ai quali cercava di rendersi simile, se non ancora a
fatti almeno con tutto l'animo. Si recò una volta in pellegrinaggio a Roma,
e, deposti, per amore di povertà, i suoi abiti fini, si ricoprì con gli
stracci di un povero. Si sedette quindi pieno di gioia tra i poveri, che
sostavano numerosi nell'atrio, davanti alla chiesa di San Pietro e, ritenendosi
uno di essi, mangiò con loro avidamente. Avrebbe ripetuto più e più volte
azioni simili, se non gli avessero incusso vergogna i conoscenti. Si accostò
poi all'altare del Principe degli Apostoli e, stupito delle misere offerte
dei pellegrini, gettò là denaro a piene mani. Voleva, con questo gesto,
indicare che tutti devono onorare in particolare modo colui che Dio stesso ha
onorato al di sopra degli altri.
|
LegM
1,6; FF 1037
Durante questo periodo, egli si recò a
visitare, con religiosa devozione, la tomba dell'apostolo Pietro. Fu in questa
circostanza che, vedendo la grande moltitudine dei mendicanti davanti alle
porte di quella chiesa, spinto da una soave compassione, e, insieme, allettato
dall'amore per la povertà, donò le sue vesti al più bisognoso di loro e,
ricoperto degli stracci di costui, passò tutta la giornata in mezzo ai poveri,
con insolita gioia di spirito.
Voleva, così, disprezzare la gloria del
mondo e raggiungere gradualmente la vetta della perfezione evangelica. Si
applicava con maggior intensità alla mortificazione dei sensi, in modo da
portare attorno, anche esteriormente, nel proprio corpo, la croce di Cristo che
portava nel cuore.
Tutte queste cose faceva Francesco, uomo
di Dio, quando, nell'abito e nella convivenza quotidiana, non si era ancora
segregato dal mondo.
3Comp
10. FF 1406
Avvenne in quel torno di tempo che
Francesco si recasse a Roma in pellegrinaggio.
Entrato nella basilica di San
Pietro, notò la spilorceria di alcuni offerenti, e disse
fra sé: "Il
principe degli Apostoli deve essere onorato con splendidezza, mentre
questi
taccagni non lasciano che offerte striminzite in questa basilica, dove riposa
il suo corpo". E in uno scatto di fervore, mise mano alla borsa, la
estrasse piena di
monete di argento che, gettate oltre la grata dello altare,
fecero un tintinnio così
vivace, da rendere attoniti tutti gli astanti per
quella generosità così magnifica.
Uscito,
si fermò davanti alle porte della basilica, dove stavano molti poveri
a
mendicare, scambiò di nascosto i suoi vestiti con quelli di un accattone. E
sulla
gradinata della chiesa, in mezzo agli altri mendichi, chiedeva
l'elemosina in lingua
francese. Infatti, parlava molto volentieri questa lingua,
sebbene non la possedesse
bene.
Si levò poi quei panni miserabili,
rindossò i propri e fece ritorno ad Assisi. Insisteva
nella preghiera,
affinché il Signore gl'indicasse la sua vocazione. A nessuno però
confidava
il suo segreto né si avvaleva dei consigli di alcuno, fuorché di Dio solo
e
talvolta del vescovo di Assisi. In quel tempo nessuno, in effetti, seguiva la
vera
povertà, che Francesco desiderava sopra ogni altra cosa al mondo,
appassionandosi
a vivere e morire in essa.
|
Scrive Padre Fernando Uribe [1] “La
presenza di Francesco a Roma è legata anzitutto al suo senso di fedeltà alla
Chiesa. Egli volle sempre vivere la sua avventura evangelica in seno alla
Chiesa e in comunione con i suoi pastori.”
Non è un caso se uno dei momenti più significativi del suo cammino di
conversione e di realizzazione vocazionale abbia coinciso con la visita alla
tomba del Principe degli Apostoli. Una lezione importante per chiunque pensi di
poter seguire Cristo facendo a meno della guida e del magistero dei suoi vicari
in terra.
Antonio
Fasolo Ofs
( continua )