DALLA
TANZANIA
“Certo
manca la fraternità. Ogni tanto mi vien voglia di provare a mettere su una
succursale di Sant' Antonio”.
C
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arissimi,
con l’anno fraterno, qui a Bukumbi, mi appresto ad iniziare il secondo anno del progetto sanitario, ufficialmente partito a settembre 2013.
L’anno che è passato è stato ricco di incontri, occasioni di crescita, sfide, non pochi problemi, all’apparenza più grandi di noi, specie quelli culturali che non si sa mai come prendere, ma con l’aiuto di Dio le cose cominciano ad avviarsi e a procedere un po’ più speditamente.
Come saprete, qui all’ospedale di Bukumbi, l’AMI (Associazione Missionaria Internazionale) ha rilevato la gestione del CTC (Care and Treatment Centre) per i pazienti affetti da HIV, ed è qui che lavoro con altre due missionarie dell’Associazione, Alba e Angela.
La mancanza di risorse, di motivazione da parte dei responsabili e la discriminazione cui questi pazienti sono ancora soggetti, nonostante di HIV se ne parli, e tanto, avevano paralizzato le potenzialità del CTC che a pochi passi da un’insenatura del Lago Vittoria, si trova a servire un’ampia zona che si estende su entrambe le sponde del bacino. Zona di porti, che date le dimensioni del lago potremmo paragonare ai “porti di mare”, col loro via vai di gente, di pescatori che lasciano stagionalmente i loro villaggi per spostarsi in zone più pescose, zona di commercio con la sua transitoria prosperità che incoraggia una vita “allegra”… e il virus dilaga.
I primi mesi di studio della situazione ci avevano messe davanti a bisogni così vasti e a mezzi così limitati, per non parlare della difficile collaborazione con l’amministrazione della struttura, anche quella un po’ allegra, che la firma dell’accordo di cogestione ci era sembrato un salto nel buio, sulla sola parola del vescovo di Mwanza, che ci incoraggiava a restituire l’ospedale alla sua gente. Ma nel giro di pochi mesi, nuovi volti e nuove energie sono entrate nell’ospedale. Amministratori responsabili e motivati con i quali è rinata la speranza di uno sforzo comune verso il comune obiettivo di servire i poveri e gli ultimi e portare nelle nostre povere mani il volto del vero Guaritore delle anime e dei corpi.
Grazie al contributo di tanti amici in Italia, e tra questi non posso non ricordare e ringraziare la nostra fraternità, in quest’anno siamo riusciti a ristrutturare gli ambulatori del CTC.
Ora abbiamo stanze decorose, dove i pazienti possono essere visitati e ascoltati nel rispetto della privacy e dove abbiamo addirittura la luce e l’acqua corrente!
Ma soprattutto a garantire cure gratuite a tutti i pazienti, attualmente circa 900, in continuo aumento.
I farmaci antiretrovirali per sé sono distribuiti gratuitamente dalle grandi agenzie internazionali, e così anche i test di base per la diagnosi e la cura, ma poi capita che il paziente rischi la vita per una polmonite o una gastroenterite perché non può pagarsi le cure necessarie. E così, grazie al fondo dei sostegni terapeutici a distanza del progetto “Una famiglia da amare”, ora abbiamo una farmacia ben fornita e un’infermiera/farmacista che ci aiuta nella distribuzione.
La squadra del CTC si compone ancora di tre infermiere, tra cui due counselor, due addette all’archivio e un tecnico di laboratorio. Stiamo infatti pian piano attrezzando un piccolo laboratorio per il CTC dove i principali test diagnostici possano essere fatti in tempo reale e assicurati gratuitamente a tutti i pazienti.
Ma la famiglia non finisce qui: si allarga ad un gruppo di 15 persone, molti pazienti essi stessi del CTC, che prestano servizio come volontari dell’Home Based Care, l’assistenza domiciliare dei pazienti. Li vanno a trovare nei villaggi, continuano l’educazione sanitaria che viene offerta ogni mattina durante l’attesa per la visita, e si mettono in contatto con noi se qualche paziente sta male e non riesce a raggiungere l’ospedale.Grazie ai volontari riusciamo a rintracciare i pazienti che abbandonano le cure ed incoraggiarli a riprenderle; tramite loro cerchiamo di raggiungere le famiglie per lo screening dei partner e dei bambini, con loro combattiamo contro lo stigma che impedisce a tante persone affette di farsi avanti e cercare aiuto.
Tanto lavoro e poco tempo per il resto, e l’inculturazione va un po’ a rilento. Lo swahili è molto più facile del tigrino che non sono mai riuscita ad imparare mentre ero in Eritrea e, per quanto ogni tanto mi impelaghi in improbabili disquisizioni con pazienti che mi guardano interrogativi, il potermi rivolgere a loro direttamente nella loro lingua senza la mediazione di un traduttore è un grande passo avanti. Così come poter partecipare alla liturgia con gli altri sensi e non solo per fede…
Certo mi manca la fraternità. Ogni tanto mi vien voglia di provare a mettere su una succursale di S. Antonio, ma mi piace anche cercare di capire come funziona da queste parti. Nei villaggi più che movimenti e associazioni si trovano le comunità di base, “Jumuyia”: gruppi di fedeli solitamente organizzati per quartiere, che ogni settimana si incontrano per leggere insieme la Parola, pregare e discutere dei problemi della comunità e se possibile intervenire.
Poiché l’ospedale con gli alloggi del personale fa quartiere a sé, c’è una jumuiya che raccoglie tutti i cattolici che lavorano in ospedale (l’entrata è d’ufficio, con il contratto di lavoro), ogni jumuiya prende il nome dal santo protettore cui si affida, la nostra si chiama San Giuda Taddeo (che è anche il nome del nostro vescovo, cappuccino).
Lo scorso anno sono stata coinvolta solo marginalmente nelle attività della jumuiya, ma da quest’anno sono stata invitata a partecipare agli incontri e vedremo cosa ne verrà. Mi piacerebbe si facesse un po’ di più come pastorale sanitaria.
In ospedale c’è una cappella costruita da un missionario francescano, ma è sempre chiusa, mentre i pazienti durante la degenza mancano di un posto dove pregare e soprattutto del conforto dei sacramenti. Vedremo… Siamo all’inizio e le idee e i buoni propositi si affollano nella mente.
Come sempre seguirò le attività della fraternità tramite Squilla e gli aggiornamenti che Marco non manca di inviarmi. Da parte mia cercherò di non tardare troppo a darvi notizia di quaggiù. Non mi resta che augurare a tutti buona festa delle Stimmate e buon inizio dell’anno fraterno. Il Signore benedica il cammino di ciascuno e vi accompagni sempre.
Tanto lavoro e poco tempo per il resto, e l’inculturazione va un po’ a rilento. Lo swahili è molto più facile del tigrino che non sono mai riuscita ad imparare mentre ero in Eritrea e, per quanto ogni tanto mi impelaghi in improbabili disquisizioni con pazienti che mi guardano interrogativi, il potermi rivolgere a loro direttamente nella loro lingua senza la mediazione di un traduttore è un grande passo avanti. Così come poter partecipare alla liturgia con gli altri sensi e non solo per fede…
Certo mi manca la fraternità. Ogni tanto mi vien voglia di provare a mettere su una succursale di S. Antonio, ma mi piace anche cercare di capire come funziona da queste parti. Nei villaggi più che movimenti e associazioni si trovano le comunità di base, “Jumuyia”: gruppi di fedeli solitamente organizzati per quartiere, che ogni settimana si incontrano per leggere insieme la Parola, pregare e discutere dei problemi della comunità e se possibile intervenire.
Poiché l’ospedale con gli alloggi del personale fa quartiere a sé, c’è una jumuiya che raccoglie tutti i cattolici che lavorano in ospedale (l’entrata è d’ufficio, con il contratto di lavoro), ogni jumuiya prende il nome dal santo protettore cui si affida, la nostra si chiama San Giuda Taddeo (che è anche il nome del nostro vescovo, cappuccino).
Lo scorso anno sono stata coinvolta solo marginalmente nelle attività della jumuiya, ma da quest’anno sono stata invitata a partecipare agli incontri e vedremo cosa ne verrà. Mi piacerebbe si facesse un po’ di più come pastorale sanitaria.
In ospedale c’è una cappella costruita da un missionario francescano, ma è sempre chiusa, mentre i pazienti durante la degenza mancano di un posto dove pregare e soprattutto del conforto dei sacramenti. Vedremo… Siamo all’inizio e le idee e i buoni propositi si affollano nella mente.
Come sempre seguirò le attività della fraternità tramite Squilla e gli aggiornamenti che Marco non manca di inviarmi. Da parte mia cercherò di non tardare troppo a darvi notizia di quaggiù. Non mi resta che augurare a tutti buona festa delle Stimmate e buon inizio dell’anno fraterno. Il Signore benedica il cammino di ciascuno e vi accompagni sempre.
Con
affetto
Rosa
Contatti:
rosantonucci13@gmail.com
Rosa
Antonucci
sito AMI
Ita Mwanza
http://www.ami-ima.net
P.O. BOX 1564 Mwanza (Tanzania