L' AVETE FATTO A ME.


Giubileo straordinario
della Misericordia

FACERE
MISERICORDIAM

a cura di Antonio Fasolo

Papa Francesco durante il suo primo Angelus, commentando il brano evangelico dell’Adultera, ha richiamato tutti al mistero della misericordia di Dio: "Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono… Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi". E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti.

San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: “miserando atque eligendo”. "Mi ha sempre impressionato questa espressione - dice Papa Francesco -  tanto da farla diventare il mio motto”. E così ancora, il Santo Padre nella bolla d’indizione del Giubileo della misericordia:  « È proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si manifesta la sua onnipotenza ».

Le parole di san Tommaso d’Aquino mostrano quanto la misericordia divina non sia per niente un segno di debolezza, ma piuttosto la qualità dell’onnipotenza di Dio. È per questo che la liturgia, in una delle collette più antiche, fa pregare dicendo: « O Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono».
Dio sarà per sempre nella storia dell’umanità come Colui che è presente, vicino, provvidente, santo e misericordioso. In queste espressioni, semplici e profondissime, si trova anche la radice dell’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi: "La misericordia, in effetti, è uno dei temi cardini del francescanesimo". Alcuni suoi scritti e numerose agiografie mettono in evidenza come la sua vicenda personale sia caratterizzata proprio dalla scoperta della misericordia di Dio verso di sé che apre all’essere a propria volta misericordiosi.

Nel Testamento, dove Francesco rilegge tutta la sua vita, ormai giunta al termine dei suoi giorni, riconosce l’origine del suo percorso: «quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia». Non dimentichiamo quello che Francesco dice nella stessa frase: “Il Signore mi condusse tra loro”. La misericordia fu il primo frutto del suo avvicinamento al Signore.

Ci sono stati alcuni (per esempio, in tempi a noi vicini, Simone Weil) che sono arrivati a Cristo partendo dall’amore per i poveri e vi sono stati altri che sono arrivati ai poveri partendo dall’amore per Cristo. Francesco appartiene a questi secondi. Ma questo riflette l’ordine profondo che c’è tra le opere e la grazia.

Francesco ha dapprima esperimentato la misericordia di Dio verso di lui, la misericordia come dono gratuito, ed è questo che lo ha spinto e gli ha dato la forza di avere misericordia del lebbroso e dei poveri. Egli incontra una realtà che gli è data, davanti alla quale conosceva solo la fuga a causa del suo “essere nei peccati”, mentre nella fede impara ad accoglierla, ad “usare misericordia”.
Quella persona ferita diventa per Francesco segno nel quale il mistero di Dio lo raggiunge. Da qui il Santo di Assisi inizia il suo cammino, in cui riconosce il perdono di Dio per i propri peccati ed impara ad essere misericor-dioso. Questo sguardo determinerà san Francesco in tutti i suoi rapporti.

C’è un episodio della vita di San Francesco in cui traspare maggiormente il volto della misericordia.

[FF. 234] A frate N... ministro. Il Signore ti benedica! Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell'amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia.
E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori.

[235] E questo sia per te più che stare appartato in un eremo. E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse per dono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.


Nella Lettera ad un Ministro, (così egli chiamava i superiori nel suo ordine, cioè “servitori”), che presumibilmente voleva lasciare l’incarico a causa dei problemi che doveva affrontare quotidianamente, Francesco lo invita ad accogliere quella realtà che sembra disturbarlo dal suo personale rapporto con Dio: «quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia». Vale a dire: il rapporto con Dio passa attraverso il dramma della vita quotidiana e non nella nostra fantasia  religiosa. Per questo aggiunge: «E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza».

Si obbedisce a Dio quando si accetta il rischio dell’impatto quotidiano con il reale in cui il Mistero tocca la nostra libertà. Francesco poi aggiunge: «E ama coloro che agiscono con te in questo modo… e non pretendere che diventino cristiani migliori». A noi è difficile capire oggi che cosa voglia dire stare di fronte all’altro senza pretendere che sia “migliore”, tanto il nostro cristianesimo è ridotto moralisticamente. Ma è proprio così, poiché la vita cambia quando la si accoglie come è e non perché la si piega ad un proprio pregiudizio.

Ma l’indicazione più dirompente la troviamo nei versetti successivi in cui l’Assisiate scrive a questo ministro come comportarsi di fronte ai frati che commettono peccato:

«E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli».

Francesco d’Assisi guarda l’altro con il perdono di Dio negli occhi e nel cuore. La misericordia appare qui il principio che rigenera continuamente l’umano, vincendo indomabilmente tutte le resistenze. Questa è in fondo la consapevolezza che Francesco d’Assisi ha sperimentato lungo il suo cammino: essere un peccatore perdonato, divenendo segno della misericordia di Dio. Questa realtà è bene espressa da un noto passaggio dei Fioretti, in cui frate Masseo di fronte al suo “successo” esclama:

«Perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d’udirti e d’ubbidirti? Tu non se’ bello uomo del corpo, tu non se’ di grande scienza, tu non se’ nobile onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?». Ecco la risposta di Francesco: perché gli occhi di Dio «non hanno veduto fra li peccatori nessuno più vile, né più insufficiente, né più grande peccatore di me… perciò ha eletto me per confondere la nobilità e la grandigia e la fortezza e bellezza e sapienza del mondo, acciò che si conosca ch’ogni virtù e ogni bene è da lui, e non dalla creatura, e nessuna persona si possa gloriare nel cospetto suo».

Egli ha sperimentato così la misericordia divina e l’elezione di Dio ad essere segno della sua grazia. Questo richiama alla mente il moto scelto, non a caso, da Papa Francesco, in riferimento all’incontro tra Gesù e Matteo: «Miserando atque eligendo», che significa: “guardandolo con misericordia lo scelse”. Questo è il mistero della misericordia che confonde il mondo nella sua presunzione.

Come può l’esperienza di San Francesco essere maestra di misericordia per noi, uomini e donne d’oggi? In molti modi. Una è andare incontro ai “nuovi lebbrosi” di oggi, le persone evitate o allontanate da tutti; andare come lui verso gli ultimi, verso le “periferie esistenziali” che esistono anche vicino a noi. Soprattutto Francesco ci addita la fonte da cui si può attingere la forza per fare questo, ed è vedere Cristo nel fratello, ricordarsi di quella parola di Cristo: “L’avete fatto a me”.
 

Bibliografia:

IL CARISMA FRANCESCANO
La misericordia che rigenera l'umano
di fra Paolo Martinelli del 15/04/2013 in Tracce.it

Paolo Martinelli - Pietro Messa, Francesco e la misericordia, EDB, Bologna 2015