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FESTA DELLA BEATA MARIA VERGINE DI LOURDES

In occasione della commemorazione della beata Maria Vergine di Lourdes, che la Chiesa celebra l’11 febbraio, riteniamo opportuno accennare alle apparizioni della Madonna a Bernardette Loubirous nella grotta di Massabielle dall’11 febbraio al 16 luglio 1858.
Delle diciotto apparizioni ci piace ricordare in rapida sintesi quelle più significative, cioè quelle in cui la Vergine esprime dei pensieri con le parole. Nella terza apparizione del 18 febbraio, in risposta alla richiesta di Bernardette: “Volete avere la bontà di ripetere per iscritto il vostro nome?”, la bella Signora risponde: ”Non è necessario” e aggiunge queste parole: “Non vi prometto di farvi felici in questo mondo, ma nell’altro”. Dopo il sì della veggente alla domanda: “Volete avere la gentilezza di venire qui durante quindici giorni?”, la visione scomparve.
Nel corso dell’ottava apparizione (24 febbraio) Aquero – parola dialettale che significa “quella lì” – disse alla veggente: “Penitenza! Penitenza! Penitenza!”“Pregherete Dio per i peccatori. Andate a baciare la terra in penitenza per la conversione dei peccatori”.
Nella nona apparizione (25 febbraio), la bella Signora ebbe a dire a Bernardette: “Andate a bere alla fontana e a lavarvi. Mangerete di quell’erba che c’è là”.
Nella tredicesima apparizione (2 marzo) Aquero le dice: “Andate a dire ai preti che si venga qui in processione e che si costruisca una cappella”. Queste stesse parole sono ripetute nella quattordicesima apparizione del 3 marzo.
In date incerte, la bella Signora le dice: “Vi proibisco di dirlo a chiunque”. Queste parole ripetute più volte riguardano la preghiera segreta e i tre segreti confidati da Aquero alla veggente. Tali segreti non sono stati svelati da Bernardette in quanto riguardano la vita privata di lei.
Nella sedicesima apparizione la bella Signora le dice il suo nome: “Que say era Immacolada Conception” (tr. Io sono l’Immacolata Concezione).
Dopo dodici giorni dall’ultima apparizione del 16 luglio 1858, mons. Laurence, vescovo di Lourdes e Tarbes istituisce una commissione canonica che lavorò per circa quattro anni in ricerca e interrogazioni. Lo stesso vescovo in una lettera pastorale del 18 gennaio 1862 riconosce la natura sovrannaturale delle apparizioni, suffragata dalle testimonianze delle guarigioni che sono sempre state numerose a Lourdes, anche se ufficialmente delle settemila dichiarazioni di guarigione la Chiesa ne ha riconosciute 66, dichiarandole “guarigioni inspiegabili o miracoli”.
Il noto giornalista Andrea Tornielli in un’intervista a Renè Laurentin, uno dei maggiori mariologi del nostro tempo, gli pone questa domanda: “Quale è oggi l’autentico messaggio di Lourdes?”.
L’illustre studioso rispose tra l’altro: “Non dimentichiamo che la Vergine Maria apparve a Bernardette la ragazza più povera della famiglia più povera di Lourdes. Una ragazza dalla salute malferma che diventa la sua plenipotenziaria per fondare Lourdes (…) Pertanto le parole chiave del messaggio non sono soltanto quelle esplicitamente dette dalla Madonna, vale a dire preghiera, penitenza e conversione e Immacolata Concezione. C’è anche da tener presente la parola “povertà”.
E aggiunge: “Credo che il messaggio profetico di Lourdes, proposto nella persona di Bernardette, sia quello della beatitudine dei poveri, la loro esistenza, il loro valore. Ai poveri è annunciata la buona novella del Vangelo”.

Elvio Pettinella, ofs

foto: cappella della Madonna di Lourdes nella chiesa dei SS. PIETRO E MARCELLINO in via Merulana, Roma.


SAN GIUSEPPE, IL FEDELE NUTRIZIO DEL SIGNORE - San Giuseppe e i francescani - San Bernardino da Siena, dai "Discorsi"


19 Marzo - Festa di San Giuseppe
1 maggio - Festa di San Giuseppe artigiano


SAN GIUSEPPE
SPOSO DELLA BEATA VERGINE MARIA
CUSTODE DEL REDENTORE



Tra le molteplici pubblicazioni dedicate allo Sposo della ‘Madre di Dio’, non possiamo non ricordare l’ Esortazione apostolica sulla figura e missione di San Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa, scritta da Giovanni Paolo II nel 1989.
Rivolta a tutto il popolo di Dio, dai vescovi ai fedeli,  essa ha per titolo “Redemptoris Custos” (Il custode del Redentore). Nell’introduzione leggiamo, tra l’atro:

“I Padri della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato che San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Maria è figura e modello”. 

 Santa Famiglia - Basilica di San Giuseppe a Nazareth

Alla luce di quanto narrato nei testi evangelici di Matteo e Luca, ci piace evidenziare alcuni momenti significativi di gioia e di dolore vissuti da questo incomparabile Santo che ha svolto indubbiamente un particolare ruolo nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione come sposo e padre putativo di Gesù.
 
Se è vero che Giuseppe, accortosi che la sua amatissima Sposa era incinta senza aver consumato nessun atto sessuale con lei, ha avuto grande angoscia pensando di lasciarla in segreto, è altrettanto vero che grande gioia ha pervaso il suo cuore quando in sogno l’Angelo gli ha rivelato che la “concezione verginale” di Maria veniva per opera dello Spirito Santo.

Certamente ha provato profonda tristezza al momento della nascita di Gesù avvenuta in una grotta al “freddo gelo” in uno stato di estrema povertà, ma poco dopo questa sua angoscia si è trasformata in indicibile letizia all’udire il canto degli Angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” e assistendo all’omaggio reso al divino Bambino dai pastori e dai Magi.

In occasione, poi, della “presentazione di Gesù al tempio”, la profezia di Simone nei riguardi di Gesù e Maria ha, per così dire, trafitto anche il cuore di Giuseppe, ma al contempo si è sentito consolato nella certezza che molte anime si sarebbero salvate per la Passione e morte di Gesù.
Infine, ricordiamo che nella Pasqua di Gerusalemme anche Giuseppe, con Gesù e Maria, ha partecipato ha tale festa, finita la quale Giuseppe ha smarrito il fanciullo Gesù e con ansia e trepidazione insieme a Maria lo ha cercato per tre giorni, finché lo ha trovato nel tempio seduto in mezzo ai dottori, suscitando in lui e in Maria immensa gioia e … meraviglia.
Elvio Pettinella, ofs

 
  
SAN GIUSEPPE E I FRANCESCANI

La devozione particolare dell'Ordine Francescano a san Giuseppe, Custode di Gesù' Verbo Incarnato, è attestata fin dal 1399. E' l'anno in cui la festa fu introdotta nel Breviario Francescano.
Quasi un secolo dopo, il papa francescano Sisto IV la istituì per tutta la Chiesa. Anche dopo la forte divulgazione del culto con la predicazione di san Bernardino da Siena (+1444), anch' egli francescano. Ancora oggi la lezione santorale nell'Ufficio delle letture nel breviario romano, recitato da tutto il clero secolare e regolare del mondo, è sua.  
Fu nel Capitolo generale del 1741 che San Giuseppe fu proclamato Patrono della Famiglia Francescana dei Frati Minori Conventuali.



Dai «Discorsi» di san Bernardino da Siena
IL FEDELE NUTRIZIO E CUSTODE

Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l'uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza.

Infatti egli segna la conclusione dell'Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscendenza aveva loro promesso.

Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell'altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l'ha portata al massimo della perfezione.

Perciò non senza motivo il Signore soggiunge: «Entra nella gioia del tuo Signore». Sebbene sia la gioia della beatitudine eterna che entra nel cuore dell'uomo, il Signore ha preferito dire: «Entra nella gioia», per insinuare misticamente che quella gioia non solo è dentro di lui, ma lo circonda ed assorbe da ogni parte e lo sommerge come un abisso infinito.

(Disc. 2 su san Giuseppe; Opera 7, 16. 27-30)

Ven. ELISABETTA SANNA, UNA TERZIARIA SARDA CHE CONQUISTO' IL CUORE DEI ROMANI - Il suo corpo riposa nella chiesa di S. Salvatore in Onda.


Ven. Serva di Dio Elisaberra Sanna


Nata a Condrogianos, un paesetto della provincia di Sassari, il 23 aprile 1788, da coltivatori agricoli e cattolici praticanti, Elisabetta Sanna a soli tre mesi dalla nascita restò menomata dal vaiolo, lasciandola rattrappita nelle braccia che mai potè alzarsi e vestirsi da sola; a stento poteva portare il cibo alla bocca, ma non potè mai alzare le mani alla fronte per il segno della croce. Ciò non le impedì di crescere imparando a sopportare il suo handycap come cosa naturale, a sbrigare le faccende domestiche e a presentarsi sempre ordinata e pulita.

Sin da piccola visse una intensa vita cristiana sicchè a sei anni ricevette il sacramento della Cresima, il 27 aprile 1794, e poco dopo i genitori l’affidarono ad una certa Lucia Pinna, terziaria francescana, la quale benchè analfabeta, come tutte le donne di quel tempo, mostrò di essere una brava catechista e alla sua scuola la piccola Elisabetta imparò a conoscere Gesù, ad amare la Madonna e San Giuseppe e a soccorrere i poveri del paese.
All’età di dieci anni fece la prima Confessione e la prima Comunione. Seconda di sette figli, Elisabetta ebbe un fratello sacerdote.
All’età di quindici anni, nei giorni festivi, radunava in casa sua le ragazze del vicinato, insegnando loro la dottrina cristiana e la recita del Santo Rosario.

Sposa e madre - Elisabetta ebbe il desiderio di farsi suora ma obbedendo alla madre, all’età di diciannove anni, il 13 settembre 1807, sposò Antonio Porcu Sini, col quale visse in perfetta armonia diciotto anni. Ebbe sette figli, due dei quali morirono in tenera età.
Elisabetta trascorreva la giornata tra la casa e il lavoro dei campi, senza mai risparmiarsi eppure trovando il tempo per lunghe ore di preghiera; preparò i suoi figli alla prima Confessione e prima Comunione, trasmettendo loro un grande amore a Gesù con dolcezza e senza mai usare toni autoritari. La sua famiglia fu un modello per tutto il paese.
Suo marito, assistito da lei e dopo aver ricevuto devotamente il Viatico e l’Olio santo, morì il 25 gennaio 1825 che era ancora in giovane età. Rimasta vedova e con cinque figli fece il voto di castità. Ogni domenica si recava all’ Oratorio del Sacro Cuore e recitava il Rosario sulla tomba del marito.
Nel 1829, ammalatosi il parroco don Elia Nuvoli, arrivò come suo vice un giovane sacerdote, don Giuseppe Valle, persona intelligente, colta e di grande pietà. Questi divenne il Direttore spirituale di Elisabetta.

Desiderio di recarsi in Terra Santa - Nello stesso anno un sacerdote quaresimalista parlò con tale enfasi della Terra Santa che Elisabetta ne restò affascinata a tal punto da accendere in lei il desiderio di visitare i luoghi dove nacque e visse il Figlio di Dio Gesù Cristo. Questo suo ardente desiderio lo espresse al suo confessore don Giuseppe Valle il quale in un primo tempo la scosigliò di fare un viaggio così impegnativo.
Intanto i suoi figli crescevano e la sua vita di preghiera e di carità s’intensificava senza che mai Elisabetta venisse meno ai suoi doveri di madre. Vero è che dopo due anni, don Giuseppe Vale, desiderando anche lui recarsi in Palestina, diede il suo assenso affinchè si compisse tale viaggio.
Elisabetta, dopo aver affidato i suoi figli al fratello sacerdote don Antonio Luigi, cedendogli altresì le sue proprietà, terreni e case, insieme al suo Padre spirituale don Valle s’imbarcò da Porto Torres per Genova.
Là attesero dieci giorni la nave per Cipro. Putroppo all’ultimo don Valle si accorse di non avere il visto per l’Oriente. I due allora decisero di recarsi a Roma per visitare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e altri grandi santuari, tra cui le catacombe, tenendo presente che la “Città eterna” è la sede del Vicario di Cristo.

Madonna con Bambino
effige davanti cui pregava
Elisabetta Sanna
ora esposta nella chiesa
di S. Salvatore in Onda

 A Roma - Arrivati a Roma il 23 luglio 1831, don Valle ebbe l’occasione di essere assunto come Cappellano all’Ospedale di Santo Spirito ed Elisabetta trovò un piccolo alloggio di due stanzette (camera e cucina) di fronte la chiesa di Santo Spirito, ubicata vicino alla basilica di San Pietro.
Elisabetta pellegrinando per le chiese di Roma trascorreva molte ore nella preghiera, partecipando quotidianamente alla Santa Messa e dedicandosi alle opere di carità verso i bisognosi.
Per motivi di salute, don Valle si dimise da Cappellano ed Elisabetta lo accolse nel suo alloggio come un figlio da curare. Il prete vi rimase fino al 1839, quando da solo fece ritorno nella sua Sardegna.
Elisabetta un giorno casualmente incontrò nella basilica di San Pietro il Maestro dei penitenzieri Padre Camillo Loria il quale, ascoltata la sua confessione, le ordinò di ritornare immediatamente in Sardegna presso la sua famiglia; lei, però, pur desiderando di ubbedire, non si sentiva di affrontare il ritorno nella sua terra in quanto era di salute cagionevole. Anche don Valle le suggerì di aspettare tempi migliori per il ritorno nella sua terra.

San Vincenzo Pallotti


L’incontro con San Vincenzo Pallotti - Nel giugno successivo 1832, Elisabetta conobbe nella chiesa di Sant’Agostino un santo prete romano, don Vincenzo Pallotti, il quale dopo aver preso atto della sua situazione e per il turbamento che le parole di Padre Loria le avevano procurato, le disse “Figlia mia fatevi coraggio, la vostra famiglia non ha bisogno di voi e sotto la guida di vostro fratello sacerdote sarà lo specchio di tutto il paese”.
Consolata da queste parole, Elisabetta si sentì rasserenata. Don vincenzo Pallotti divenne suo Direttore spirituale.

Terziaria Francescana - due anni dopo, nel 1834, nella chiesa di San Francesco a Ripa, con gioia Elisabetta vestì l’abito di Terziaria francescana. Ai suoi figli in Sardegna donò tutto quanto ella possedeva ed era lieta di vivere in perfetta povertà.

Società per l’Apostolato Cattolico - Nel 1835, don Vincenzo Pallotti fondò la Società dell’Apostolato Cattolico ed Elisabetta fu aggregata in essa quale membro attivo. Nonostante il suo handycap vura lei stessa gli arredi sacri per la Chiesa di San Salvatore in Onda. Spesso procurava coperte e lenzuola, indumenti e cibo per la comunità.
Un giorno una signora le regalò un bel vestito ed Elisabetta lo donò immediatamente a don Vincenzo per farne degli arredi sacri.
Sotto la guida del santo prete, trascorreva molte ore nella preghiera e in lei cresceva la passione per l’Adorazione eucaristica e la devozione alla Madonna. La sua stanzetta diventò un piccolo santuario mariano dove si riuniva la gente del vicinato a pregare con lei.
Su indicazione di don Vincenzo Pallotti, inoltre, lavorò come “colf” nella casa di mons. Giovanni Soglia, allora segretario della Congregazione dei Vescovi e Regolari religiosi, e futuro cardinale.
Nel tempo della Repubblica Romana (1848-49) quando Roma cadde nelle mani dei garibaldini e anticlericali e lo stesso pontefice Pio IX fu esule a Gaeta, la Comunità dell’Apostolato Cattolico si disperse e il suo fondatore don Vincenzo dovette nascondersi nel Collegio irlandese. Ebbene Elisabetta non cambio abitudini. Ogni mattina andava a San Pietro e a coloro che l’osteggiavano domandando per chi pregasse rispondeva: “Per tutti”. – “Anche per la Repubblica?”. A questa seconda domanda lei dava questa risposta: “Io non la conosco”.
Il 22 gennaio 1850, don Vincenzo Pallotti morì e fu sepolto nella chiesa di San Salvatore in Onda. Dopo poco più di un secolo, egli fu canonizzato da Giovanni XXIII. Elisabetta, ormai anziana e sopportate le tante sofferenze con eroica fortezza inviatale dal Signore, il 17 febbraio 1857 rese l’anima a Dio e, come aveva desiderato, venne sepolta anche lei nella chiesa di San Salvatore in Onda.

Fama di santità - A soli quattro mesi dalla morte la sua fama di santità si diffuse a tal punto che ebbe inizio la sua Causa di beatificazione. Leone XIII firmo il decreto che conferiva a Elisabetta il titolo di Venerabile.

Purtroppo il Processo di beatificazione subì un primo arresto nel 1911 in quanto qualcuno dei periti sollevò il dubbio circa il carattere del viaggio di Elisabetta a Roma.
In quel tempo non si conoscevano i documenti che sono oggi a disposizione. Pertanto, come scrisse nel gennaio del 2008 l’Arcivescovo di Sassari Pietro Atzei nella prefazione al volumetto dedicato alla vita della nostra Venerabile di Angelo Mantonati, “ci auguriamo che questa stupenda figura di donna, di vedova e di madre possa salire agli onori degli altari”.
Elvio Pettinella, ofs




2016

ELISABETTA SANNA E' BEATA !
Il Rito di beatificazione in settembre


Città del Vaticano
Il 21 gennaio 2016, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza privata Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Angelo Amato, S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’udienza il Sommo Pontefice ha autorizzato la Congregazione a promulgare, tra altri, il decreto riguardante il miracolo, attribuito all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Elisabetta Sanna, Laica, Vedova, del Terzo Ordine di San Francesco, Membro dell’Unione dell’Apostolato Cattolico fondato da San Vincenzo Pallotti; nata il 23 aprile 1788 e morta il 17 febbraio 1857.

BEATIFICAZIONE DELLA VEN. ELISABETTA SANNA SEGUICI SU
CALENDARIO FRANCESCANO SECOLARE
- DOSSIER BEATIFICAZIONE     


S.TERESA D'AVILA - ritratto biografico di Elvio Pettinella


Figlia di Alfonso de Sanchez Cepeda e Beatrice Ahumado, Teresa nacque il 28 marzo 1515 adAvila, città della Spagna centrale (vecchia Castiglia).
Proveniente da una famiglia agiata, sin dalla più tenera età manifesta una particolare tendenza al misticismo.
All’età di 13 anni muore sua madre e tre anni dopo (1531) entra, come educanda, nel monastero delle Agostiniane di “santa Maria de Gracia” ad Avila. Qui oltre ad apprendere i soliti lavori femminili, Teresa dedica molte ore del giorno alla preghiera e alla meditazione centrata prevalentemente sulla passione di Cristo.
Dopo un anno e mezzo, Teresa si ammala con febbri e contenzione nervosa a tal punto che il padre, preoccupato, se la riprende in casa.
Riprendendosi in salute s’immerge nella lettura dell’epistolario di San Gerolamo e quotidianamente si dedica all’“orazione mentale” che, come chiarisce Teresa nella sua autobiografia, “non è altro che ‘un legame di amicizia’ consistente in ‘ un frequente e intimo colloquio con Colui dal quale ci sentiamo amati’”. Nel frattempo confida al padre di volersi fare suora. Questo suo desiderio viene posto in essere il 2 novembre 1535, quando è accolta nel monastero carmelitano dell’Incarnazione ad Avila.
Dopo due anni di noviziato, precisamente il 3 novembre 1937, Teresa fa la Professione solenne divenendo monaca carmelitana. Vivendo in questo ambiente claustrale Teresa si sente a suo agio, prende gusto alla vita monastica, ama il silenzio e la solitudine, le preghiere in comune, le lunghe meditazioni e le penitenze anche fisiche.
Nell’anno seguente Teresa incomincia a soffrire atroci turbe nervose che dalla psiche passano al fisico, comportandole inappetenza e vomito. Purtroppo le cure mediche non riescono a guarirla, sicché suo padre ha il permesso di riportarla a casa. Visto che le cure dei medici sono inefficaci, il suo genitore ricorre alle cure di una “empirica” che con le sue tisane mette in pericolo di vita Teresa sottoponendola altresì a un regime di purghe.
Pur trovandosi in precarie condizioni di salute, Teresa ha la forza di leggere i “Moralia” di San Gregorio e il libro di Giobbe.
Il 15 agosto 1539, giorno dell’Assunzione, Teresa si aggrava a tal punto che le viene somministrato il Sacramento dell’Estrema unzione e poco dopo la si reputa morta e ci si prepara a seppellirla nel suo monastero; ma suo padre è dell’avviso che sua figlia non sarà seppellita. Nel quarto giorno, infatti, Teresa riprende i sensi e parla di sé e della sua opera futura. Lucidamente si può confessare e comunicarsi.
Pur rimanendo paralitica, potendo muovere solo un dito della mano destra, esprime il desiderio di tornare al suo monastero e il 28 marzo 1540, viene esaudita. Persistono in lei le nausee e la febbre ed è ridotta a pelle e ossa.
In questo periodo, mentre soffre pazientemente ogni dolore, nasce e cresce in lei la devozione a San Giuseppe e che essa trasmetterà poi a tutto l’Ordine carmelitano. E’ a lui che attribuisce la grazia (per non chiamarla miracolo) della propria guarigione. Dopo tre anni di dolorosa paralisi si alza e cammina e dopo poco tempo si rimette completamente in salute.
Nella vigilia del 1543, assistito dalla figlia, muore serenamente il padre. Tornata al monastero, Teresa ha, a suo dire, un periodo di crisi spirituale e di sbandamento, pur senza commettere peccati gravi.
Negli anni 1554-1555 lei si “riconverte” e, nel frattempo è soggetta a straordinarie grazie di natura mistica: locuzioni interiori, estasi, voli di spirito e numerose visioni. Tra quest’ultime merita di essere ricordata la celeberrima visione dell’angelo (forse un cherubino) che conficca e sconficca un dardo infuocato nel cuore, visione descritta da Teresa alla fine del capitolo XXIX della sua “Vita”.

 
Bernini - "Santa Teresa in estasi", Roma

E’ questo l’episodio che ha ispirato al Bernini una delle più belle e sconvolgenti sculture della storia dell’arte: la “Santa Teresa in estasi” la si può ammirare a tutt’oggi nella chiesa di Santa Maria della Vittoria in Roma.
Teresa a volte riflettendo su questi particolari è presa dal dubbio che essi potessero essere opera di Satana, dubbio alimentato anche da alcuni confessori con i quali si è confidata.
Nel 1560, Teresa si incontra ad Avila con un frate francescano di sessantun anni, che già da tempo aveva iniziato una del proprio ordine portandolo a maggior povertà e penitenza secondo lo spirito primitivo: quello che oggi chiamiamo San Pietro d’Alcantara. Costui ha con lei lunghi colloqui, sostenendo tra l’altro che i suoi carismi sono di natura divina e quindi tutti i dubbi sollevati dai precedenti confessori vengono sciolti.
Pertanto Teresa si sente spiritualmente rassicurata e, inoltre quello che San Pietro d’Alcantara aveva fatto con il suo rilassato Ordine francescano, anche Teresa desidera farlo con quello del Carmelo.
Teresa concepisce la prima idea di riforma partendo, sia pure con grande difficoltà, dalla fondazione di un nuovo monastero carmelitano piccolo e povero, dove si possa vivere in pienezza la regola primitiva. Ebbene il 24 agosto 1562 viene inaugurato il monastero di San Giuseppe ad Avila il primo Carmelo Teresiano. Nell’arco di venti anni Teresa fonda una lunga serie di monasteri riformati anche con l’aiuto di San Giovanni della Croce.
Nella sua opera “Libro delle fondazioni” Teresa racconta in modo particolare le vicende che hanno portato alla fondazione dei suddetti monasteri.
Nonostante l’assorbente attività svolta per le fondazioni dei monasteri, superando non poche difficoltà e incomprensioni, Teresa giunge alto grado di vita mistica. Ne danno atto i suoi scritti, oltre ai citati “Vita” e “Libro delle fondazioni”, ricordiamo “Il cammino della per-fezione”, “Il castello interiore”, Le dimore”, le lettere e le poesie. Le sue opere evidenziano una profonda dottrina teologica e spirituale in gran parte attinta a Sant’Agostino e San Gregorio.
Il 20 settembre 1582, trovandosi di passaggio ad Alba de Tormes cade gravemente ammalata; il 29 dello stesso mese non lascia più il letto. Il 4 ottobre, dopo aver ricevuto il giorno precedente il viatico, trascorre la giornata in serena agonia e alle 21,30 rende l’anima a Dio. Proprio quell’anno il calendario gregoriano sostituisce quello giuliano e perciò la data di sepoltura, avvenuta il giorno dopo è il 15 ottobre 1582.
Canonizzata il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV, il 27 dicembre 1970 Santa Teresa d’Avila viene proclamata Dottore universale della Chiesa.
Elvio Pettinella, ofs